“Queste macchine oltre che di una robustezza leggendaria sono anche, strutturalmente, di una semplicità disarmante. Chiunque possieda un minimo di manualità può smontarne e rimontarne una senza difficoltà: sembra siano costruite col Meccano…” Chi scrive (uno che ordinariamente piega dieci chiodi, prima di riuscire a piantarne uno), trasalisce visibilmente. Ma lui, Franco Giustiniano, finge di non accorgersene. E’ palermitano, ha 60 anni, una moglie, due figli, un lavoro. E una passione infinita per la Jeep.

LE CAMIONETTE E IL CAMILLINO

Ci accoglie in un ampio box, dalle parti di Via Ammiraglio Rizzo, che è officina, showroom, deposito, casa e rifugio. Quarant’anni le chiamavano “camionette”, ed erano le più amate tra le macchinine con cui i bambini di allora giocavano. La “camionetta” di latta, come le figurine animate dei formaggini “Mio”, come il “Camillino” Eldorado, sono cose che uno si porta dentro per millenni. Stanno acquattate, nascoste da qualche parte, per poi farti “Boom!” nella testa improvvisamente, imprevedibilmente.

L’INIZIO DELLA STORIA

Del tutto imprevedibile fu infatti, una trentina di anni fa, l’incontro di Giustiniano con una Jeep vera: “Quando la vidi passare, bellissima e altera, capii subito che il tempo di realizzare il mio sogno di bambino forse era arrivato”. Prese a guardarsi attorno, a chiedere, ad informarsi, a contattare la ventina di appassionati siciliani. Poi successe il fatto: “Ero passato a salutare un amico che aveva una grande officina per la riparazione di mezzi industriali alla Zisa – ricorda adesso – quando notai, sepolta da quintali di ferraglia e vecchi copertoni, l’inconfondibile mascherina di una Jeep. Era una carcassa macilenta, già destinata alla pressa. Tuttavia, impiegai solo pochi istanti per decidere di fare la cosa giusta.”

DA RELITTI A MACCHINE MARCIANTI

Da allora, da quel tripudio di campane e cori angelici nel più inverosimile tra gli scenari, Giustiniano di Jeep ne ha rimesso su strada una mezza dozzina. Erano relitti incomprensibili, dal curriculum post bellico qualche volta davvero imbarazzante. A partire dagli anni ’50 le Jeep, per la loro generosità e versatilità, sono state trasformate da un popolo di artigiani, contadini e operai con le pezze al culo in… tutto: trattori, ambulanze, locomotive, carro-attrezzi, spalaneve.

SE UN BULLONE…

Adesso sono macchine perfettamente marcianti, complete di tutte le dotazioni originali, restaurate con la cura del cesellatore e la tigna del miniaturista. “Se io so che c’è un solo bullone non originale in un qualche anfratto irraggiungibile della macchina, non ho pace finché quell’invisibile bullone non è stato sostituito con l’originale…”.

LA RICERCA DEI PEZZI ORIGINALI

“Quando ho deciso di restaurare la mia prima macchina – racconta Giustiniano – come premessa mi sono procurato il manuale d’officina originale, e questo mi ha aiutato moltissimo. Poi ho iniziato il lavoro, un lavoro che ha impegnato me e la mia famiglia per cinque anni. Alcuni dei pezzi mancanti li ho trovati in Toscana e in Emilia, regioni in cui ci sono molti appassionati; altri pezzi li ho trovati in Francia, dove gli americani hanno lasciato moltissime di questa macchine. Un estintore originale l’ho trovato negli Stati Uniti, in un mercatino. La radio di bordo, una Motorola, sono andato a comprarla invece in Olanda”.

LE FASI DEL RESTAURO

“Esaurita la fase del restauro vero e proprio – continua – ho riscontrato, in un archivio consultabile in Internet, i numeri di matricola stampigliati su ognuna delle mie macchine. Così adesso so in quale catena di montaggio di quale stabilimento la macchina è stata costruita; l’anno in cui la Ford ha consegnato la macchina all’esercito americano; quale reparto ha avuto assegnata la macchina e poi – seguendo le tracce del reparto – il nome e il cognome di chi questa macchina l’ha guidata”.

LA TENTAZIONE

A quel punto – confessa – la tentazione di cercare un contatto con quei soldati che quasi settant’anni fa avevano toccato con le ruote di queste macchine la sabbia della spiaggia di Gela era fortissima. Ma troppi erano i problemi e forte sarebbe stato il dolore nello scoprire che forse quei ragazzi non ci sono più.

L’ODORE DELLA LIBERTA’

“Queste macchine – dice – sono pezzi di storia, che risplendono di una luce speciale, che odorano di libertà. La Jeep non è solo un mezzo di trasporto straordinario: è il simbolo della liberazione dell’Europa dal nazismo. Che non cominciò in Normandia, ma in Sicilia. Eppure sulla spiaggia di Gela non c’è niente che lo ricordi. Solo una lapide, a Ponte Dirillo, nell’entroterra, ricorda la battaglia del 10 luglio ‘43, ma è stata apposta dagli americani…”

COME BAMBINI ABBANDONATI

Nel box di Giustiniano non ci sono più (“per insormontabili problemi di spazio”) né l’ultima Jeep restaurata (“Sono venuti tre ragazzi da Praga a portarla via su un carrello – ci racconta) né il poderoso Dodge TE 30 per trasporto truppe (10 posti, 4.000 di cilindrata, sei cilindri) scovato in un paesino del catanese. “Un garagista – ci dice – c’aveva montato su una piccola gru e lo utilizzava come carro attrezzi, per recuperare mezzi in difficoltà sulle pendici dell’Etna. Era fermo da quindici anni, abbandonato tra le sterpaglie. Lo vidi per caso, passando con l’auto dalla Statale…” Lui indovina la nostra sorpresa: “E’ più forte di me… Quando scovo uno di questi mezzi è come se vedessi un bambino abbandonato: devo portarlo con me.”

Playlist: Jeepster – T. Rex