Si chiamava Vittorio e si definiva un poeta incompreso. Frequentava Kovacs, il ristorante che gestivo a Palermo. Le prime volte mi era sembrata una persona strana; chiuso e riservato lo era di sicuro. Ordinava sempre le stesse pietanze e si sedeva sempre allo stesso tavolo: il numero tre. Se per caso trovava qualcuno seduto al suo tavolo, si accomodava sulla panchina posta sulle scale ad aspettare pazientemente che gli avventori si alzassero, così da potersi sedere al suo posto.

IL CUCCIOLO ABBANDONATO

Questo succedeva anche se c’era la sala vuota e quel tavolo occupato. Aveva con sé un quaderno con la copertina nera e mentre aspettava il cibo scriveva. Lo confesso, ero curiosa di sapere chi fosse quel tipo. Di aspetto era molto attraente, sui cinquant’anni, capelli brizzolati e uno sguardo da cucciolo abbandonato. Nell’insieme mi era parso un tipo un po’ manierato. Di sicuro, col tempo, avrei scoperto la sua storia.

MI APRI’ IL SUO CUORE

In un’altra vita ero stata un’investigatrice di successo e questo caso l’avrei risolto in poco tempo. Andavo personalmente al tavolo di questo signore a prendere l’ordinazione, sono sempre stata una dalla battuta facile e ironica e volevo assolutamente ingraziarmi il tipo. Lui cadde nel mio ingenuo tranello e pian piano mi aprì il suo cuore.

SCRIVEVA POESIE

Quello che mi raccontò, cari miei, non ve lo posso dire, cose troppo spiacevoli. Un giorno chiesi a Vittorio cosa scrivesse su quel quaderno dalla copertina nera e lui mi rispose: poesie, cara, solo poesie! Da allora trovai sempre un suo pensiero scritto sulla ricevuta fiscale che puntualmente lasciava sul tavolo insieme ai soldi del conto. Erano pensieri carini, generici. Scriveva della vita, della morte ma soprattutto dell’amore.

LA FRASE D’AMORE

Per un anno, ogni giorno, godetti della sua presenza. Una sera, gli portai il conto, lui mi guardò serio e mi disse che ero una persona fantastica, lo ringraziai e mi allontanai per sbrigare altro. Vittorio passò dalla cassa e mi salutò. “Ciao Vittorio, ci vediamo domani!”. Un ultimo sguardo e un cenno di sorriso da parte sua e poi andò via. Come al solito, lasciò soldi e ricevuta sul piatto. Presi la ricevuta e lessi la più bella frase d’amore scritta per me: Tramontiamo insieme?

CHE FINE FECE?

Aspettai la sera successiva per complimentarmi con lui per la bella frase poetica. Non venne né quella sera e nemmeno per le successive. Ero preoccupata per il mio amico. Non sapevo a chi rivolgermi per avere notizie del poeta che aveva rapito il mio cuore. Sì, perché mi accorsi di pensare Vittorio sempre più spesso.

PENSAI AL SUICIDIO

Avevo conservato tutti i suoi scritti e speravo di vederlo spuntare come il sole al mattino. Mi vennero in testa pensieri gravi, mi immaginai un suicidio. Nella mia mente si formava quell’ultima frase “Tramontiamo insieme?” come un presagio di morte. Già, perché il sole muore quando tramonta, ma io cosa c’entravo? Avevo, piuttosto, scambiato quella frase con qualcosa che somigliasse all’invecchiare insieme.

OTTO MESI SENZA NOTIZIE

Nei giorni seguenti lessi con avidità le notizie locali dei giornali cittadini, ma non trovai nulla. Passarono otto mesi e un po’ mi ero rassegnata dandomi la più scontata delle spiegazioni e cioè che il tipo fosse sposato e che era ritornato nella sua città d’origine.

IL CUORE BATTEVA FORTE

Un sabato sera, c’era una fila interminabile per ottenere un tavolo, lo vidi seduto sulla panchina. Guardava verso me cercando di attirare la mia attenzione, avevo alzato lo sguardo e il mio cuore aveva cominciato a battere forte. Non potevo fermarmi perché ne avrebbe risentito il lavoro delle ragazze in sala, insieme eravamo una macchina da guerra, ognuna di noi svolgeva il suo compito senza fermarsi.

AVEVA IN MANO IL SUO QUADERNO

Lui aveva scritto il suo nome sul foglio posto su una bacheca all’ingresso del locale. Sapevo che avrebbe aspettato che si liberasse il suo tavolo. Ogni tanto lo guardavo e lui aveva in mano il suo quaderno. Come facesse a concentrarsi con quella confusione di gente in attesa per me restò un mistero.

NON AVEVA FRETTA

Quando gli dissi che il suo tavolo era libero, lui mi disse di darlo ad altri perché non aveva nessuna fretta e avrebbe cenato più tardi con tranquillità. Passarono altre due ore e finalmente la situazione rientrò nella normalità. Vittorio si accomodò al suo tavolo e ordinò alla ragazza che prendeva le ordinazioni un’insalata e un bicchiere di vino.

PIU’ BELLO DI PRIMA

Lo guardai da lontano e mi sembrò più bello di prima. Lui vide che lo guardavo e mi fece cenno di avvicinarmi al tavolo. Cercai di essere più professionale possibile. «Desideri qualcosa?». Non sapevo cosa dire e gli dissi la prima frase che mi venne, alla faccia della professionalità.

UNA PASSEGGIATA AL MARE

«Sì, io vorrei qualcosa ma non so se tu saresti disposta a esaudire il mio desiderio». «Tu dimmi cosa e vediamo cosa potrò fare!». «Fare una passeggiata in riva al mare, pensi sarà possibile soddisfare questo mio desiderio entro questa notte?».

FELICE DA SVENIRE

Mi sentii mancare dalla felicità e l’unica cosa che seppi dire fu un flebile sì. «Bene, attenderò qui fuori la chiusura del locale!». «Ma finirò tardi stasera, magari ti stancherai di aspettare». «Non preoccuparti per questo, il tempo non è un mio problema e poi ho questo!». E mi mostrò il suo famoso quaderno nero.

LA NOTTE PIU’ BELLA

Quella notte fu la più bella della mia vita. C’eravamo solo noi due a passeggiare nella spiaggia di Mondello attraversando ombrelloni chiusi. Sembravamo i guardiani della pace. Due anime che si erano ritrovate e stavano assaporando il silenzio, ma in quel silenzio c’era un mondo di parole non dette.

MI PRESE LA MANO

Ci sedemmo ad osservare il mare tranquillo. Vittorio mi prese la mano e la strinse forte, poi se l’avvicinò sulla bocca e la baciò. Non osavo chiedergli il perché fosse sparito per tutto quel tempo e non gli dissi nemmeno quanto mi fosse mancato.

IL NOSTRO PRIMO BACIO

D’istinto baciai anch’io la sua mano e poi fu la volta delle nostre bocche che si unirono in un bacio casto, il primo nostro bacio. Avevo quella domanda da fargli e aspettai il momento propizio per sapere perché fosse sparito. Era ritornato nella sua città per chiudere una relazione che si trascinava per abitudine. Voleva essere sicuro di essere libero da ogni legame prima di farsi avanti con me.

TRAMONTIAMO INSIEME?

«E adesso te lo ripeterò nuovamente: tramontiamo insieme?». Cercai di scherzarci su dicendogli che fra circa un’ora sarebbe spuntato il sole e poi gli dissi che con lui sarei andata pure in capo al mondo. Mi porse il quaderno e mi disse che lì c’erano tutte le poesie, scritte in quei mesi di assenza, dedicate a me. Lo presi e ne lessi una a caso.

La luna stanotte mi guarda.

Splende alta nell’oscurità

del mio cuore ferito e deluso.

Sogno di rivedere i tuoi occhi

che risplendono più di questa luna.

Erano il mio faro.

Tu, però, aspettami,

presto sarò il tuo guardiano.

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