Con l’espressione “il gioco non vale la candela” si definisce uno sforzo immane per il raggiungimento di un risultato effimero o comunque poco importante. La sua origine è parecchio lontana nel tempo e risale addirittura a fine Cinquecento.

ASSI E MAZZIGioco vale Candela

E’ una terminologia che appartiene al gioco d’azzardo e alle bische clandestine. In Sicilia, i giocatori che consumavano le loro serate nelle osterie tra poker e altro, spesso sperperavano soldi in locali illuminati appunto da candele o, al massimo, da lampade a olio. Quando a fine nottata gli avventori se ne andavano, pagavano qualche moneta all’oste che aveva contribuito all’illuminazione. Se la vincita era stata scarsa, quindi, non era valsa la pena. Bisogna considerare anche che a quei tempi le candele costavano parecchio, soprattutto per le classi sociali medio/basse.

ME LO DICEVA ANCHE NONNO

Che quando si organizzavano le partite clandestinamente in Sicilia di notte, bisognava fare per bene i conti: controllare nelle proprie tasche quanti soldi sarebbero stati messi in palio ed essere sicuri che l’organizzazione non costasse più della giocata stessa. Mio nonno guardava suo papà riunirsi insieme ad amici ora in una casa, ora in un’altra. Mi raccontava di giocate fino a notte fonda e di come si portasse rispetto al proprietario di casa che forniva l’illuminazione. A fine partita, come fosse un’oste, gli si allungavano delle monete per il disturbo o si ricomprava la candela utilizzata. Insomma, altro che gli sprechi di oggi.

ANCHE FUORI DALL’ITALIA

La particolare frase è famosa a livello globale e quasi ogni lingua ne ha la sua versione. In inglese, ad esempio, è The game isn’t worth the candle. Ma le prime testimonianze scritte dell’espressione provengono dalla Francia. Fu proprio Michel de Montaigne a scrivere per primo Le jeu n’en vaut pas la chandelle, in un suo testo, riferendosi ai giocatori di carte e alle loro abitudini.

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