Quando la vidi per la prima volta, restai incantata, era di colore blu, lucida, mi parve un transatlantico perché prima di essa mio padre aveva avuto una Fiat 600 bianca, che dopo aver affrontato un viaggio lungo per quei tempi, non ne volle più sapere. Così comprò quella bella macchina di seconda mano, ma era tenuta benissimo, non aveva nemmeno un graffio. La macchina, una Lancia Appia, era di mio zio e l’aveva data a mio padre per pochi soldi poiché conosceva le sue difficoltà con la sua seicento.

IL GIRO DEL CAPO

Mio padre andò a ritirarla e quando sentimmo il clacson, prima, tutti noi figli affacciammo dal balcone e poi, a un cenno di mio padre, scendemmo i gradini di corsa col rischio di farci male, eravamo tutti eccitati. Mi accomodai dietro e notai subito la pelle chiara dei sedili, la accarezzai e spinsi mio fratello con tutta la forza che avessi perché nel frattempo mi voleva scavalcare per mettersi lato finestrino. Certo dopo quel viaggio a Roma con la Seicento questa sembrava un salotto e stavamo tutti comodi. Mi sentii una principessa mentre mio padre, lentamente, fece il giro del nostro quartiere, il Capo. Ci guardavano tutti e alcuni nostri amichetti ci vennero anche dietro. Poi per inaugurare la macchina mio padre puntò dritto su Mondello, per farci gustare il gelato.

LA MACCHINA PER GLI SPOSI

La Lancia serviva a mio padre soprattutto per lavoro, essendo un fotografo. Ai clienti fece un’offerta conveniente e quindi oltre il servizio fotografico offrì agli sposi la macchina con annesso autista, che era sempre lui. Una volta mi portò con lui, gli facevo da aiutante tenendogli il flash. Si cominciava ad andare a casa dello sposo. Una volta si usava mettere i regali ricevuti in mostra sul tavolo buono della stanza da pranzo, si facevano prima le foto ai regali e poi allo sposo con i regali e dopo ancora col padre e con la madre e per ultimi i parenti.

LA SALA DEL SIGNOR PIETRO

Lo stesso rituale si ripeteva a casa della sposa. Si aspettava in chiesa l’arrivo della sposa e dopo si celebrava il matrimonio, all’uscita della chiesa si andava a Villa Tasca e alla Palazzina Cinese per fare le foto di rito e dopo in sala. Le sale di allora non erano sfarzose come quelle di oggi. Mi ricordo che il più delle volte il trattenimento era in un Circolo per giocatori in Via Trabia, gestito dal signor Pietro che faceva trovare il complesso che suonava e si mangiava in piedi tipo buffet.

NON ERA LA MIA STRADA

Là mi divertivo e il più delle volte facevo amicizia con altri ragazzini, ma l’intento di mio padre era insegnarmi a fare il suo mestiere, ci riuscì per un bel po’ di anni. Poi diventata grande decisi che quella non era la mia strada. La vita è stranissima, adesso che non lo faccio più per mestiere mi piace fotografare e la fotografia è diventata una delle mie tante passioni.

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