Faccio parte della generazione di quelli “col pane”.
Figli e nipoti di chi, a torto o a ragione, raccontava di avere vissuto gli stenti della guerra, siamo cresciuti con l’incubo di buttare qualcosa da mangiare, non sia mai finisse nella munnizza un pezzo di grasso della cotoletta, avanzi di pasta con le melanzane, della buccia con troppa pesca attaccata.

Il nostro mantra era “senza pane, ma te lo devi finire!”, che altro non era se non il lato B di “mangia col pane!”.
Devo dire, a mio discapito e a onore di chi mi ha impartito tale educazione, che i risultati si sono visti.
Anche con qualche eccesso.

Ancora adesso, nell’età della presunta maturità, non esiste pietanza che io non mangi accompagnandola col filone rimacinato, sia che si tratti di pasta alla norma, di pizza, frittata con cipolle, sushi, involtini plimavela, o prosciutto e melone.
A volte mischio il pane anche con i grissini, in un corto circuito di carboidrati.
Il top è stato quando mi sono preparato un sandwich con dentro i crackers, non avendo trovato di meglio in cucina.

Precursori al contrario di una dieta logica, i miei genitori, e prima di loro i miei nonni, hanno fatto di me una specie di figura mitologica, metà uomo metà pagnotta.
Non smetterò di ringraziarli per altri motivi, ma il panico da assenza di pane che mi assale quando non arrivo a fare la spesa, è imputabile a loro, e non si fugge dalle proprie responsabilità.

C’è da dire che dopo anni di analisi, credo di essere riuscito a guarire dalla dipendenza dal pane, anche grazie all’aiuto di mia moglie Rosetta, dei miei figli Mafalda e Cimino, e dalla mia volontà di farro.
Quasi una condanna definitiva.
Fine pane mai.

PLAYLIST: MA CHE BONTA’ – MINA