Ettore Zanca va consumato in piccole dosi. E, sia chiaro, vuole essere un complimento. Chi ha imparato a leggere bene in età non più giovanissima può intuire meglio il senso di queste parole. Quando il tempo per immergersi in un libro non è infinito si diventa più selettivi e quel sapore di benessere che ti sale pagina dopo pagina te lo gusti e lo assapori senza perderne un grammo. Appunto, in piccole dosi.

LETTURA E PASSIONE

Esiste la lettura che ti accompagna la notte, di cui si apprezza la stile ma che non deve creare turbamento. E quella da conversazione che fornisce spunti per essere conviviali. Ci sono le biografie che aggiungono nozioni. E poi ci sono le passioni, gli innamoramenti letterari, la tua vita di riserva, le pagine che sovrapponi alla tua esistenza e te la rendono unica.

PARLARE CON L’AUTORE

E poi ci sono i libri che si leggono a prescindere, per affetto o infatuazione, perché è con l’autore che vuoi parlare. Leggere, ascoltare e parlare senza sprecare parole. Ettore Zanca appartiene all’esigua schiera di chi, inconsapevole, entra nella tua mente senza chiedere permesso. Non conta se il libro ti piaccia o meno, con lui parli e questo è il miracolo della lettura.

SCRIVERE PER NECESSITA’

Zanca è uno di quelli che scrive per necessità. Perché pensieri e sentimenti starebbero scomodi, compressi in un solo cuore e in una sola mente. Zanca scrive perché ogni uomo che si definisce tale ha due passioni, una è la donna con cui chiudere il cerchio della vita, l’altra è la variante che ci rende umani.

GLI ABITI DELLA PASSIONE

La sua passione ha tanti abiti. I libri sono quelli da sera, ma di giorno non è meno elegante con i suoi articoli e i suoi post regalati ai tanti che ne colgono l’essenza. Quando recensii E vissero tutti feriti e contenti giurai di non strapparglieli mai più quei vestiti per dargli la mia versione di Zanca. Ho mantenuto l’impegno con Santa Muerte, mi limito a sorridere di un sorriso compiacente che dedichi a chi vuoi bene. Si è alzato dal lettino e ha partorito con dolore il secondo romanzo. Non il primo che è stato l’attimo prima dell’orgasmo. Almeno secondo il sottoscritto.

ANDARE A SCUOLA

Oggi Zanca fa un altro passo avanti, nel suo stile. Onesto e ipercritico qual è ha deciso di andare a scuola. Perché accanto al cuore c’è anche la ragione e a volte non basta più essere un buon solista che suona ad orecchio. Vuoi gli strumenti per leggere lo spartito? E allora studia, si sarà detto. E l’ha fatto. In silenzio.

IL BRINDISI PER ETTORE

Poi già che c’era ha partecipato al contest del Gruppo di Supporto Scrittori Pigri. La partita si giocava sull’incipit che per gli scrittori è come l’altezza mezza bellezza. E il suo “Il morbo di Sebastiano” è arrivato terzo. Ora, se avete un minimo di fiducia nella nostra comunità che racconta storie, i romanzi di Zanca ve li andate a comprare e ve li spolpate quando volete. Ma l’incipit vittorioso ve lo offriamo noi. E’ il nostro brindisi per Ettore.

IL MORBO DI SEBASTIANO

Il sole batte e picchia. Tutte cose violente fa questo sole. Mai che accarezzi, prenda per mano. Sebastiano guarda la sua Palermo dalla finestra. Questo orrifico incrocio di paesi, che si vestono da quartieri. Una buttana che si atteggia a bella signora. 
Minchia però che buttana bella che è, la mia città. Pensa. 
Vive solo Sebastiano, dopo la perdita dei genitori. La sorella passa ogni giorno e gli porta qualcosa da mangiare. E gli dice sempre le stesse cose. Lavati. Fatti la barba. Prova a cercarti un lavoro. Non puoi stare sempre così a pensare a quello che hai avuto. 
Ride Sebastiano, lui ha avuto una cosa che non si può afferrare. Non si tiene, ma possiede. Eccome se possiede. 
“E pigliati le medicine”. Così gli dice la sorella. Gli lascia il vecchio paniere pieno di roba. Il paniere di famiglia. Sua madre lo “calava” dal balcone per comprare la roba dagli ambulanti. Che quasi non passano più. Infatti Sebastiano spesso va nei vecchi mercati della città, per sapere che quella città che ama tanto, certe belle abitudini non le perde del tutto. 
E le medicine non le piglia. 
Però guarda dalla finestra la sorella che rientra in macchina, con il cognato che la aspetta e le urla contro. Le sbatte addosso la sua cattiveria, per accudire ancora un fratello inutile. E lui sorride pensando a come la parola “fratello”, somigli a “fardello”. Lui è un fradello. 
Oggi però la sorella non ci sta a pigliarsi addosso le “stime” del marito, gli risponde, gli urla una cosa che si sente pure da dove Sebastiano si apposta per rubare le parole impreviste. Quelle che si dicono pensando che si è assenti. 
La sorella urla forte. “Tra te e lui, preferisco lui, almeno ha scelto di vivere un mondo più bello, io glielo voglio lasciare finché non chiudo gli occhi!”. 
Sebastiano ascolta il silenzio in silenzio. E piange per quell’inaspettata protezione che gli colma la voglia di sentirsi dentro una pancia materna dove non si corrono pericoli.