Taninu ‘u cuntaturi aveva un debito nei riguardi di Asdrubale detto u “chi ura è” dopo che questi lo aveva aiutato con la storia del crocifisso di Nenè u mirciaru. Non è che Tanino fosse uomo di nobili sentimenti e neanche troppo ruci ri mussu, è che Asdrubale gli faceva pena, mai na fimmina in tutta la vita.

TANINO E ASDRUBALE

Tanino si voleva sdebitare alla maniera sua, e a u chi ura è ci voleva pure bene. Asdrubale da piccolo aveva avuto una disgrazia grossa ed era rimasto un poco scimunito, niente di grave, ma era timido soprattutto con le donne. Se ne vedeva una si faceva rosso, cominciava a chicchiare e a sbavare come un vecchio senza denti e quindi partiva il solito ritornello: chi ura è? Chi ura è?. Taninu era stanco di picchiarlo per farlo smettere.

LA PENSIONE BUGANE’ E’ CHIUSA

– “Ho deciso ca sìiddu un truvati na fimmina pi du minchiuni ri Asdrubale vi lassu tutti o scuru!”. Alla taverna attisarono le orecchie.

Domani è San Valentino. Futtinu tutti, e avi a futtiri puru iddu.

– Ma mancu li cani lu vonnu, ormai la pensione Buganè è chiusa da cinquant’anni e muriu puru a figghia da madama Terè, u zu Vicienzo l’ultima pecora la scannò per Pasqua, che ormai quella non si reggeva più sulle zampe.

– Ve lo dissi o scuru vi lassu!

UNA FIMMINA CHIAMATA SASA’

Fu così che cinque ubriaconi mentecatti, senza un soldo e che non si potevano permettere mancu na signurina, si misero a pensare.

-Perché non facciamo ubriacare come una scimmia a Sasà e u vistemu ri fimmina, capaci ca un sinnaddunano né Asdrubale e mancu Sasà.

-Scimunito ma chi ddici? e quannu si mettunu a nura?

JOLANDA E’ QUELLA GIUSTA

Fu Melchiorre, chiamato così perché sua madre quando lo partorì pesava sette chili e vide pure la stella cometa, che si ricordò di Jolanda. A lui Jolanda piaceva anche se di chili ne pesava almeno centodieci e aveva gli occhi che sembrava cinisi. Ma rinunciò subito per amore della luce elettrica, che altre modernità là non ne avevano.

-Ma chi dici? Jolanda malata è.

-Picchi Asdrubale bono ti pari?

IL RAPIMENTO

Sembrò a tutti una buona idea, rubarono i palloncini a una festa per bambini, un mazzo di fiori di un morto fresco, poi rapirono Jolanda. Ci andarono in due, la bloccarono che portava fuori il cane a pisciare, non oppose resistenza, la coprirono con un sacco nivuro appena svacantato dalla munnizza e lei attaccò a ridere e a starnutire, che le dovettero dare un colpo sulla testa. Il cane se lo prese Melchiorre per ricordo della sua storia d’amore mancata.

PUZZAVA COME UN CASSONETTO

Quando Jolanda si risvegliò con un bummolo sulla fronte, era seduta alla taverna, i suoi occhi allegri sottili osservarono lo strano gruppo che le stava attorno, non aveva paura, qualcuno lo conosceva pure, era gente del quartiere. Lei puzzava come un cassonetto.

-Jolanda c’è uno che ti vuole sposare. Ormai sei compromessa e te lo devi maritare, la picciotta che aveva pure la lingua di pezza, disse: ma la mamà mi disse che io non mi posso sposare, a mia nuddu mi pigghia.

Minchiate Jolà, tutte le fimmine si maritanu tranne i surielle, quelle però possono fare lo stesso le cose porche e vastase tanto poi si confessano.

Ah, le cose vastase, quelle me le insegnò la mamà, mi disse che a me un lavoro non me lo dà nessuno e allora io lavoro in casa. Mi portano dolci, i cannoli, la frutta martorana, l’aranciata.

GLI STRAORDINARI

Se Melchiorre avesse avuto oro e incenso in mano gli sarebbero caduti per terra, ma invece aveva solo una birra, che per il vino  a dieci anni era troppo giovane. Taninu non si scompose e disse: Jolandù amunì che ti facciamo fare un poco di straordinario che domani è San Valentino pure per noi. La taverna venne chiusa per consentire di preparare la cena romantica, appizzare i palloncini, e per evitare che da fuori si sentissero le risate di Jolandù. E si rovinasse la sorpresa al promesso sposo. Testimonianza di Melchiorre ‘u setti chila, raccolta da me medesima.

Playlist: Quant’ è laria… –