T’ansignari l’inglisi, ti dicevano quando eri piccolo che poi saresti andato via, magari in America e avresti fatto i soldi. E alle volte non si andava tanto lontani dalla realtà, considerando che almeno uno su cinque alla fermata dell’autobus ha un cugino o uno zio, più o meno ricco e con l’aria del continente. Il biglietto per imbarcarsi è cambiato: russo, arabo, ma soprattutto giapponese sono le lingue da sapere.

DU IU SPIK INGLISC?

Il curriculum con un ottimo inglese non basta più. “Il giapponese è presente nella nostra vita quotidiana più di quanto si possa immaginare – spiega il professore Maurilio Ponzo – Chi non conosce parole come sushi, kamikaze e origami? In realtà lo studio del giapponese ha radici più antiche benché moderne ma da almeno trent’anni gli studi in Italia si sono ampliati e i recenti accordi tra Unione Europea e Giappone in materia di commercio permettono a tanti italiani e a tanti giapponesi, per contro, di imparare queste due lingue e di conoscere queste due culture per costruire ponti e non muri”.

CITTADINO DEL MONDO giapponese maurilio ponzo

E forse fra qualche anno neanche il giapponese basterà più, bisognerà conoscerle tutte, essere davvero in tutto e per tutto cittadino del mondo come tenta di esserlo Maurilio: “Se potessi le studierei tutte – racconta – ho iniziato parallelamente anche a imparare l’arabo”. Che se poi ci metti impegno, ti rendi conto che ci sono oltre alle differenze linguistiche, anche delle similitudini sociali: “Paragonare non fa mai bene ma percepire similitudini o differenze si può. Pensando che anche l’Italia tra Nord e sud abbia differenze in merito all’approccio alla vita di tutti i giorni, la dice lunga su cosa possa essere simile o diverso dalla cultura giapponese. Se è vero comunque che lì è tutto chiaro, rispettato e semplificato, è anche vero per la mia esperienza ho capito che spesso serva un po’ più di elasticità mentale nelle dinamiche sociali”, parola di Maurilio che ha vissuto a Nagoya per ricerca accademica.

CU AVI LINGUA, PASSA LU MARI

Lingua uguale comunicazione, comunicazione uguale prestigio, prestigio uguale economia: “Le lingue servono per comprendere, comprendersi e armonizzare il mondo. Purtroppo certi nostri politici, per quanto riguarda ad esempio l’arabo, ci stanno raccontando che alcune città in Africa e non solo, non siano sicure e quindi le hanno tagliate fuori dagli scambi di studio”. C’è un gioco di potere dietro le lingue, queste scalano o precipitano nella gerarchia di considerazione internazionale. Una lingua può essere più forte di un’altra oggi e fra dieci anni, vivere una situazione opposta. In base alla classifica 2018 stilata da Ethnologue, tra le lingue più parlate al mondo, l’italiano è al ventunesimo posto. Prima l’inglese, davanti a cinese mandarino, hindi-urdu, spagnolo e arabo.

C’ERANO UN CINESE E UN GIAPPONESE…

Il cinese ha numeri eccezionali: è parlato da un miliardo e centosette milioni di individui, il giapponese scritto deriva proprio dal cinese: “Esistono migliaia di caratteri chiamati ideogrammi da dover imparare a leggere e a scrivere. Però il giapponese ha soltanto due tempi verbali, passato e non passato, quindi con un po’ di pazienza e di costanza si può andare lontano”, robetta da poco oppure no, però ti aiuta nella vita quotidiana: “Non solo il giapponese ma anche le altre lingue che ho studiato, tra cui appunto l’arabo ed il francese – dice – Di sicuro il pensiero del Paese del Sol Levante, trasposto nella lingua anche a livello grafico, ti mette in condizione di vivere la quotidianità in maniera diversa da ciò cui sei abituato, quindi più riflessione e meno istinto”.

MANGIA CHE E’ BUONO, MANGIA

È il minimo per una lingua che preferisce sempre utilizzare altre forme rispetto al classico no secco: “È buon senso non rispondere con un diniego per non offendere l’interlocutore. Al posto del no, che esiste come parola, si preferisce usare qualche espressione più gentile per rifiutare una proposta o per esprimere dissenso. La lingua giapponese è molto contestuale, quindi è ricca di lessico a seconda delle situazioni. Il no come rifiuto è più confidenziale, informale e gerarchico, ovvero usato dai genitori verso i figli o da superiori verso subalterni”, un poco come il palermitano che se la nonna ti ha cucinato le lasagne, no non puoi dirglielo.

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