Non si era detto moriremo tutti democristiani? Mai profezia più fallace, soprattutto oggi che nell’estate di Salvini tra ruspe e Papeete, torna struggente la nostalgia per un tempo politico che fu. Morire democristiani, per mezza Italia un auspicio, per l’altra parte una condanna. Almeno all’epoca. Oggi quest’altra parte pagherebbe in dobloni d’oro per riavere la vecchia odiatissima Dc, compresi Moro, Fanfani e magari anche Forlani e Andreotti.

NEMICI A CUI VOLER BENE

C’era qualcosa di rassicurante in quel destino che sembrava ineluttabile, un senso di attaccamento alla tradizione politica cattolica che incarnava il vissuto dell’Italia post bellica. Nemici sì, ma quei nemici a cui si può voler bene, qualora in politica fosse consentito il sentimento.

SANGUE E MERDA

Perché per anni ci hanno insegnato che la politica è sangue e merda, come chiosò negli anni ’70 il socialista Rino Formica, ma solo adesso stiamo cominciando a capire l’autentico significato di una definizione che allora sembrava iperbolica. Morire democristiani al tempo del Pci significava sostanzialmente che niente sarebbe potuto cambiare.

NOSTALGIA E RIMPIANTI

Eppure oggi che la Dc non c’è più sono in molti a rimpiangere quell’amatissimo nemico. Perché, tutto sommato, la prospettiva di morire democristiani non era poi così malaccio. E la cosa più strana lo sottolinea con nostalgia chi magari democristiano non lo è mai stato. Chi invece ha la dc che scorre nelle vene di tutto ciò non riesce a godere. Anzi impreca, come Saverio Romano democristiano fino al midollo ma che mai s’è fermato all’aspetto nostalgico del tempo che fu.

MORIRE DANNATI

“Altro che morire democristiani – è l’esordio di Romano –  noi moriremo dannati se non sapremo trasferire ai nostri figli il bagaglio necessario per costruire un avvenire migliore del presente che abbiamo loro consegnato. Per tutti noi sarebbe più semplice accettare l’idea di un elettorato stolto, piuttosto che essere artefici o complici di questa assoluta caduta di valori”. Amen. Senza tanti giri di parole e con lo sguardo che trasmette molto più che la delusione  per un presente che immaginava diverso sin dai tempi in cui guidava i giovani democristiani.

LA POLITICA SU FACEBOOK

“Oggi la politica si fa su Facebook. Per carità, non è colpa del progresso tecnologico, ma di chi ha fatto in modo che scomparissero i luoghi sacri della politica. Piaccia o meno,  i partiti erano i serbatoi della classe dirigente e i luoghi di mediazione dei problemi della società. Oggi che non ci sono più i partiti la protesta e il malcontento viene buttato in un post di poche righe. E c’è la caccia a cercare consenso cavalcando la tigre”.

NON ACCONTENTARSI

“Prima la politica determinava, ora insegue. E insegue le istanze peggiori. Niente è irreversibile, ma bisogna cominciare a non accontentarsi di assistere ad uno spettacolo che non ci piace”. Come dire: criticare Salvini non serve se non si comincia (ricomincia) a considerare la politica una faccenda estremamente seria. E che come tutte le cose serie deve essere studiata.

PARLARSI ADDOSSO

“Servono i contenitori dove accogliere chi vuole fare politica e occorre rintracciare chi vuole fare politica per riempire i contenitori. Questo circolo vizioso si deve rompere, altrimenti continueremo a parlarci addosso e a sorbirci questa robaccia”.

 

L’anomalia Sicilia, vezzoso esercizio linguistico utile a giustificare la tendenza  dell’isola  a smarcarsi dalle dinamiche nazionali, oggi si presenta meno evidente del passato. E’ vero, appena 2 anni fa, Musumeci e la coalizione di centrodestra hanno lasciato indietro i Cinquestelle. E da queste parti i centristi, bestie rare nel resto d’Italia, hanno ancora voti e capacità d’incidere quasi come ai bei vecchi tempi. Niente a che vedere con l’epoca Dc, sia chiaro, però c’è vita in mezzo alle urla che arrivano da tutte le direzioni. Tuttavia, il pericolo Romano lo vede dietro l’angolo. E si chiama omologazione.

IL CENTRO MODERATO

“Noi abbiamo costruito in Sicilia un percorso vincente che pensavamo portasse naturalmente verso il consolidamento, anche in campo nazionale, del centro moderato. E anche Musumeci sembrava di questo avviso, tanto da apparire l’uomo ideale per trovare convergenze anche su scenari più ampi dell’isola. Oggi ho la sensazione che non sia più così, rincorrere la Lega e pensare a fenomeni federativi non è utile per la Sicilia e per l’intero meridione. Se torneremo all’idea originaria di predisporre un progetto che possa coinvolgere tutto il sud, noi saremo al suo fianco. Altrimenti prenderemo atto che qualcosa è cambiata”.

LA POLITICA E I RISCHI

Questo per farvi capire che l’ineluttabile non è nelle corde di questo democristiano che non vuole affatto morire democristiano, nel senso superficiale del termine. E che non si è mai fatto frenare dal rischio dei fischi. Ha abbandonato l’Udc quando non ne ha più condiviso gli orientamenti, ha sostenuto un Berlusconi non più popolarissimo precludendosi un più comodo cammino sull’altra sponda, ha baciato Cuffaro quando tutti lo evitavano,  fatto a botte (politicamente parlando) con Gianfranco Miccichè e Cateno De Luca prima e dopo le elezioni europee ultime scorse.

IL JAB

Oggi il segnale che parte è forte e chiaro. E ancora una volta, senza ipocrisie, è indirizzato al bersaglio grosso. Che si faccia o meno il rimpasto a Palazzo D’Orleans, il problema resta: da che parte vorrà andare Musumeci che di questo centrodestra siciliano è il portabandiera? E soprattutto, chi saranno i compagni di cordata? Perché una cosa sarebbe restare con testa e cuore ben fissi al centro, ben altra assistere al cambiamento dei connotati politici del centrodestra anche in Sicilia, con un trucco e parrucco pesante e appariscente. La partita di agosto è appena cominciata. E al suono del gong, è partito il jab di Romano.

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