Barconi che arrivano e le grida dell’italiano medio: “Ci rubano il lavoro!”, “Tornino a casa loro!”, sono il trend topic del momento. Ma cosa c’è veramente dietro questi terribili viaggi della speranza? Ecco quindi che una macchina fotografica e l’inchiesta diventano armi per salvare il mondo dall’ignoranza. Francesco Bellina, foto reporter di Guardian ed Espresso (tra i tanti), ha incastonato con il suo obiettivo attimi umani di tremenda cattiveria, tutti reali, pochi veramente conosciuti dal grande pubblico fuorviato spesso da immagini distorte di tg e social ben lontane dalla realtà. Francesco rivela il gioco e i retroscena di una certa criminalità organizzata, della tratta di esseri umani e degli sbarchi a Lampedusa. “Sono appena tornato dal Ghana e ora andrò in Niger a continuare il lavoro sugli attacchi jihadisti. Se ne vedono di tutti i colori”.
IL PRIMO SCATTO NON SI SCORDA MAI
Comincia a scattare da piccolo e scopre di avere un talento. “In terza media ho capito che ero capace. Mia zia mi regalò una macchina con pellicola che portai in giro alle cascate abruzzesi. Tutti volevano le mie foto”. E’ la prima inchiesta di Francesco: “I compagni in gita e i corsi d’acqua in Abruzzo”. Un gioco, ma imparerà veramente il mestiere a tredici anni, quando si affianca a due fotografi trapanesi. “Crescendo però mi sono iscritto a giurisprudenza, non avevo i soldi per la scuola privata di fotografia di Milano. Stavo per mollare tutto”. E invece arriva la spinta psicologica di Irene. “Altrimenti avrei fatto l’avvocato del lavoro, anche se non ero un tipo da giacca e cravatta. Fingevo di studiare a Casa Professa con la mia ragazza e, invece di fare i compiti, andavo in giro a fotografare il rione. Di diritto non ne volevo neanche a brodo. Quindi ho cominciato proprio da Ballarò parlando della mafia nigeriana. Da quel momento ho collaborato con molti giornali, ma anche con l’ ONU e varie istituzioni”.
SENSO DI UMANITA’ E GIUSTIZIA
“Appena sedicenne, ho lavorato nei campi siciliani con dei migranti, mettevo da parte soldi per l’attrezzatura fotografica. Il nostro capo ha deciso di negarci l’acqua. Ho quindi organizzato una protesta”. Sempre sovversivo il fotografo siciliano. “Chi mi conosce sa bene che a Trapani facevo politica. Per una questione etica, quando ho iniziato i reportage, ho smesso. Ma ho sempre creduto nella giustizia. Denunciavo le situazioni prima che diventasse mainstream, ora lo fanno i politici sui social in maniera falsa e bugiarda. I miei ideali proseguono rappresentati dal mio attuale lavoro”.
MAFIA NIGERIANA E ROBA CHE SCOTTA
Francesco non è un sedentario. Va dove c’è l’azione. “Si ma non in zone di guerra. Non è il mio campo. Lo sono, invece, migrazione, diritti umani, petrolio, mafie e spaccio di droga”. Giusto per non annoiarsi mai. Tematiche che devono piacere, conquistare, altrimenti difficile entrare all’interno e sviscerare ogni crudo particolare. “Con Lorenzo Tondo abbiamo fatto un’inchiesta su presunti scafisti che arriverebbero in Sicilia, dopo mesi si è capito che era una min*iata colossale. Non esistono. Rimangono in Libia. Ho anche fotografato Emeka Don, ragazzo sfregiato dalla mafia nigeriana. L’indomani è venuto a cercarmi a Ballarò, sembrava arrabbiato. In realtà voleva ringraziarmi: il suo viso pubblicato sul Guardian era diventato famoso. Non lo avrebbero ferito più. Una vittoria. Con le prostitute, invece, serve molta delicatezza. Le metto a loro agio e nessuna foto in viso. Importanti etica e deontologia”.
ESCLUSIVA: L’IMMIGRAZIONE E’ UN PROBLEMA ANCHE PER LORO
Nell’immaginario collettivo chi arriva in Italia fuggendo da situazioni intollerabili, cerca di rubarti il lavoro o un tuo fantomatico spazio vitale. “In Ghana abbiamo seguito la polizia anti immigrazione, siamo stati nei mercati e le forze dell’ordine sensibilizzavano la popolazione locale sui pericoli dei viaggi in gommone”. Vere e proprie traversate disperate, simbolo di morte e non un capriccio del momento. “Ma noi non lo immaginiamo neanche. Nessuno ce lo racconta. Per noi sono solo zulù che rubano e uccidono”. E’ un’arroganza tutta italiana, o comunque dei paesi industrializzati, quella di pensare che casa nostra sia la migliore e che tutti ne vogliano un pezzo.
BELLINA, ZANDONINI E AGADEZ
Giacomo Zandonini, scrittore, giornalista e ricercatore di Trento che vive a Roma, è l’immancabile compagno di avventura. “Con lui sono stato sia in Niger che in Ghana. Una persona con la mia stessa sensibilità su certe tematiche. Siamo riusciti a fotografare la tratta di esseri umani partendo da Agadez, ultima città prima del deserto del Sahara, poi si arriva in Libia. Forse siamo stati gli unici ad assistere ai respingimenti dei migranti al confine. Erano senza niente da mangiare e da bere. E ricordo che ho visto scendere da un enorme camion bambini senza capelli e disidratati, donne che svenivano di colpo e uomini che non respiravano più. La prima cosa fatta dalle autorità è stata prendere le impronte digitali…”. Dettagli che in pochi conoscono. Parliamo spesso di chi viene dal mare, ma poco di chi muore nel deserto. “Costa meno mandarci a Lampedusa, è dietro casa. Ormai i giornalisti si accontentano di riportare notizie copiate, senza indagine, e Salvini e altri politici ne approfittano”.
RISPETTO PER LA PROFESSIONE
E’ un lavoro che da soddisfazione purché sia svolto tramite giornali esteri. “In Italia non c’è rispetto per i giornalisti, figurati per i fotografi! E’ una giungla in cui ognuno fa il suo prezzo. Alcune costano 3 euro, altre 300. Ogni professione va rispettata, io sono pagato per fare foto, tu per scrivere. Ed è un problema italiano quello di non valorizzare i mestieri”. Così come lo è la poca attenzione sulla veridicità delle notizie. “Se devo fare uscire un articolo sullo Spiegel mi informo, attendo mesi, faccio un checking. In Italia di livello ci sono poche testate. Se lavori con svizzeri e tedeschi c’è una serietà assurda. Al G7 di Taormina, inviato da un giornale estero, mi hanno pagato molto bene. Altri colleghi che, invece, scrivevano per agenzie italiane lo hanno fatto quasi gratis”.
IL PROSSIMO … OBIETTIVO
Nel futuro un progetto finanziato da Fondazione Sicilia, insieme al circolo Arci Porco Rosso che ha vinto il bando, un’inchiesta sulla tratta delle schiave sessuali nigeriane dalla Sicilia e viceversa. “Tutto inquadrato nell’ambito dei riti voodoo. Abbiamo persino trovato una juju priest (stregona) che fa i riti alle prostitute. Le ragazze si vendono, se fortunate, nei bordelli, e nel deserto. Con figli a fianco e topi intorno. Tremendo”.
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