Sì curnutu tu e cu ti viesti ‘a matina: inizia così la carrellata sui detti popolari, il  viaggio nell’universo di una lingua, e non un dialetto, che riserva mille sorprese, e si distingue per saggezza ed elasticità. Il siciliano è unico nel suo genere, un idioma che riesce a dare ad un semplice termine mille sfaccettature e mille significati. E’ il caso per l’appunto del “cornuto” che in Sicilia può significare tutto e il contrario di tutto. Il caso sopra descritto è emblematico. Il genitore sembra offendere il figlio ma in realtà gli fa un complimento: sei monello, ma nascondi una grande furbizia, che hai ereditato dai tuoi genitori.

CORNUTO TU…

Ma cornuto può essere anche la madre di tutte le offese, per un siciliano che non vuole mai toccate la sua terra e soprattutto la famiglia e la moglie. L’onore e il rispetto prima di tutto. E quindi curnutu tu e cu un tu rici puru, perché non basta che te lo dica solo io. I nostri nonni raccontavano di padri di famiglia che quando tornavano a casa, davanti all’uscio della porta, davano uno schiaffo alle proprie mogli. Perché non si sa mai, mi metto al sicuro. Come si suol dire, megghiu riri chi sacciu ca chi sapia, meglio non avere rimpianti.

PADRI, FIGLI E PORCI

E poi il rapporto coi figli, che i siciliani vivono sapendo che prima o poi li perderanno: “un patri campa centu figghi e centu figghi un campanu un patri” si suole dire, soprattutto quando si viene a sapere di un padre o di una madre di cui i figli poco si interessavano. A volte è meglio nutricari puorci. “Ma ognuno ha la sua storia” diceva qualcun altro e spesso i panni sporchi è meglio lavarli in famiglia, altrimenti può capitare che parri cu tu suoggira e ti sienti to nuora oppure che i muri unn’annu aricchi e sientunu, perché si sa, la curiosità è un piccatu ma è un pinseri livatu.

SUOCERE E NUORE

A proposito di suocere e nuore, in questo contesto i detti popolari si sprecano, ma uno in particolare merita una menzione: A fimmina quannu è zita avi sette mani e una lingua, ma quannu si marita ci spuntanu sette lingue e una mano. Naturalmente, neanche a dirlo, sarà stato coniato da una suocera. E non dal suocero, che il più delle volte, in Sicilia, l’acqua lu vagna e lu ventu l’asciuca. Il maschio è cacciatore e a pagghia mmienzu u foco avvampa e se, Dio nni scanzi, la fimmina “esce incinta, per la suocera l’ha incastrato e non può che essere fimmina ruvina casate, quasi al pari di una donna che si accoppia con un uomo sposato.

STORIE DI MAPPINE E FOULARD

Ma i detti popolari ci ricordano anche che ci sono gli amici e i parenti, da cui un cià accattari e un cià binniri nenti, che potrebbe sembrare un’assurdità, un paradosso, ma se ci pensiamo bene è un consiglio molto saggio. Amici e parenti pretendono infatti di più, perché di mezzo c’è un legame, di sangue o di affetto. E siccome una mappina non può diventare un foulard, la probabilità che si possa incorrere in qualche discussione è alta.

U STISSU MUORTU…

Se qualcosa è andata male, non vi preoccupate, u stissu muortu nzigna a chianciri ovvero del dispiacere ce ne faremo una ragione. Attenzione, perché quando si guardano bene le cose, si può restare delusi, perché a volte è chiossai u fango ca scaruola ed è meglio prendere le distanze dall’inconcludente ca pigghia cazzi pi ramurazzi.

… E AGNEDDU E SUCU

Che dirvi ancora, la speranza è che certi detti, alcuni ancora attuali altri antichi come il cucco, possano resistere alla modernità e tramandati alle future generazioni, (anche se a megghiu paruola è chidda ca un si rici). E quindi la conclusione pare scontata agneddu e sucu e finiu u vattiu. Assabbinirica.

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