Quelle vecchie reti che odoravano di umido e raccontavano di mare mi affascinavano. E ancor di più vedere il rituale con cui nel pomeriggio le srotolava e le ordinava quell’uomo apparentemente esile e fragile, capelli bianchi arruffati e baffi lunghi, e mille rughe sulla pelle, segni di una vita in cui ne aveva viste tante davvero. Papu’ Vasilis, il nonno dal quale avevo preso il nome, amava andare a pesca al tramonto, buttare le reti e tornare poche ore dopo, alle prime luci dell’alba, a raccogliere quello che il generoso mare di Cefalonia gli regalava.

NONNO D’ESTATE

Ma ancor di più, amava andarci con noi, i suoi adorati nipoti, peraltro quasi tutti suoi omonimi. Io ero il più piccolo e come tale godevo del surplus di coccole e indulgenze che spettano in genere ai piccoli. Per di più, vivevo lontano, in Italia e il nonno poteva vedermi solo in estate, il che lo portava ad essere ancora più affettuoso. Io di pesca e reti capivo ben poco, e tra l’altro ero pure piuttosto imbranato nelle movenze in barca.

COLPI DI MALAKAS

Eppure lui, che da buon Kefalonitis era irascibile e facile alla collera (che gli durava tuttavia trenta secondi), agli altri alla minima titubanza lanciava urlacci e dispensava colpi di “malakas” (il più comune insulto greco) senza troppi freni inibitori, con me invece era insospettabilmente paziente. Mi spiegava tutto: perché le reti si usavano in quel modo, perché si tiravano su così e poi sui pesci che trovavamo, sul mare di Cefalonia, sulle correnti.

BURBERO IN APPARENZA

Io non sempre riuscivo a capire tutto. Ero piccolo, sui dieci anni, e alcune parole marinaresche in greco non le conoscevo. Ma fingevo di seguirlo perfettamente, per nulla al mondo avrei voluto dispiacere quell’uomo solo apparentemente burbero,  che con me, tuttavia, era tenerissimo e al quale volevo un gran bene.

ERA TOSTO IL PAPU’

Era un uomo che oggi, col nostro linguaggio postmoderno, definiremmo “tosto”, il mio vecchio Papu’ greco. Negli Anni ’40 aveva visto la sua bella isola, Cefalonia, invasa dagli Italiani, che però dopo un po’, più che invasori erano diventati pacifici coabitanti dello stesso paradiso in terra, quell’avamposto sulle isole Ionie ricco di sentieri irti e scoscesi, e di boschi lussureggianti che diradano su un mare da urlo.

UNA FACCIA, UNA RAZZA

“Una faccia una razza”, dicevano (e dicono ancora oggi) i Greci a proposito degli Italiani, a ribadire la vicinanza, culturale e caratteriale, prima che geografica, tra due popoli che nessuna guerra o nessuna politica pseudo espansionista poteva rendere nemici. Infatti, nel settembre del ’43, quando i Tedeschi fucilavano a migliaia quelli che fino a pochi giorni prima erano alleati , con esecuzioni sommarie in spregio a qualsiasi principio etico e militare, la popolazione locale nascondeva i soldati italiani per farli sfuggire a morte certa.

RISCHIAVA LA VITA

E lo faceva rischiando anche la propria vita, dato che i Tedeschi, che avevano minacciato, e in qualche caso eseguito, rappresaglie drammatiche sulla gente di Cefalonia scoperta a proteggere Italiani. Ma Papu’ Vasilis non era tipo che si lasciasse intimorire da nulla – neppure dai Nazisti la cui ferocia era ben nota ed evidente in quei giorni a Cefalonia -ed aiutò diversi ragazzi con ogni mezzo possibile.

ODIAVA I COMUNISTI

Alla fine del conflitto mondiale, fu coinvolto nella guerra civile Greca e per diversi anni fu prigioniero dei Comunisti locali, recluso sulle montagne in condizioni molto dure. Qualche volta gli chiedevo di questa vicenda, ma lui riteneva probabilmente che fosse troppo cruenta per me ed era restio a raccontarmene. Quello che mi risultava evidente al di là di ogni non detto, era la sua -diciamo così- scarsa simpatia per i Comunisti d’ogni genere e tipo.

SCHIAFFETTO E RISOGALO

Quando, ostinato, insistevo per sapere, lui mi dava uno schiaffetto bonario sulla guancia, si voltava verso la moglie, mia nonna, e col suo solito tono autoritario le faceva: “dai il risogalo (dolce a base di latte, riso e cannella) che hai fatto stamattina al bambino, che ha fame”. Io non avevo fame, in verità, ma il risogalo della nonna era una istituzione non rifiutabile. E infatti non rifiutavo affatto, neanche il bis casomai.

I RICORDI DI CEFALONIA

Papu’ Vasilis morì quando io avevo solo 15 anni, seguito pochi anni dopo dalla moglie, mia nonna. Non ho avuto modo, dunque, di passare molto tempo con lui. Ma il ricordo di quelle estati a Cefalonia, il suo vocione, le sue cure e le tenerezze verso i nipoti che tentava maldestramente di dissimulare, perché per un uomo della sua generazione troppe smancerie non vanno bene, è sempre con me e sempre lo sarà. Yassou Papu’.
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