Ginevra ha quattro anni e non parla ancora. Ogni tanto sminuzza qualche parola, ma non ci siamo proprio. Poco importa, mi dico, mio padre ha cominciato a parlare tardi ed è figlio di una generazione che interveniva con i metodi della bisnonna come per esempio far bere al pargolo la propria pipì. Sul serio, è successo. Ma siamo seri, mia figlia è iperattiva, mi tormenta con le sue richieste, non mi fa dormire la notte e l’unico modo che ho per calmarla è farla giocare con il mio cellulare, farle guardare i teletubbies o Masha e Orso su YouTube. Lei incolla gli occhi sullo schermo e io sono sereno.

I NATIVI DIGITALI

Ed è bravissima. Riesce a cambiare lo sfondo, accedendo alle impostazioni dello smartphone con una tale velocità che capisco quelli che parlano di nativi digitali. Si piazza lì sul divano e spesso si addormenta, a quattro anni è già in grado di scaricare i giochi dallo store, ma ancora non parla. E allora le pensi tutte, ti chiedi se abbia un difetto o se sei stato tu a sbagliare qualcosa. Capita spesso ai genitori del 2000, qualcuno di questi ci è già passato e ti consiglia di parlare con una logopedista, “magari la bambina ha qualche problema”.

L’ESPERTO

Così incontro Federica Gagliano, logopedista con master ABA post-experience, e le racconto tutto. Ci soffermiamo sul cellulare e lei non lo condanna, a meno di un uso deviato. Questo lo è? “L’uso di tablet e smartphone è sconsigliato nei primi due anni d’età – dice – Il bambino assorbirà una serie di stimoli visivi e uditivi in modo passivo, per questo tenderà all’isolamento”. Per cui cosa avrei dovuto fare? “Beh, logopedia, smartphone, bambino, cellulareinteragire. Utilizzare il cellulare è possibile purché sia strumento per interagire con qualcuno che è vicino – dice – un uso deviato priverà il bimbo della capacità comunicativa nei confronti dell’altro e quindi, in tenera età sono consigliabili esperienze tattili anche all’aperto dove esercitare lo scambio comunicativo, giocare con gli altri bimbi anche per quanto riguarda l’apprendimento, ad esempio, dello scambio del turno. Dal primo al secondo anno – continua – il bimbo deve conoscere, scoprire, esplorare, imitare e il modello imitativo è il proprio genitore. Ma non solo per il linguaggio, anche per l’emotività: il confronto con l’altro fa crescere. Attraverso il cellulare viene a mancare la scoperta dell’emotività dell’altro, non lo si percepisce e non si è chiari nell’esprimere le proprie emozioni”. Ed ecco perché hanno inventato le emoticon, penso io.

LA TECNOLOGIA NON E’ UNA NEMICO, MA…

Ma attenzione, Federica Gagliano ci spiega che la tecnologia non è un nemico: “Nella mia pratica usiamo spesso tablet e smarphone per riprodurre musiche che poi i bimbi possono memorizzare, ripetere, commentare insieme a noi – spiega la dottoressa Gagliano – L’utilizzo dei tablet dai sei anni in poi potrebbe essere utile per giochi di associazioni e memorizzazioni, sono bravissimi in questo. L’utilizzo del cellulare, invece, può essere utile alle medie, proprio per quei bimbi che iniziano a spostarsi e a essere indipendenti”. Per cui la differenza è l’utilizzo della tecnologia come sfondo per un’interazione vis-à-vis.

LE REGOLE E I VIDEOGAMES

Non bisogna dimenticarsi del bambino, insomma: “Sì, con lui serve un confronto continuo, con lui si possono ripetere i nomi degli animali, cantare, parlare – dice – non per forza, stare sul pavimento a fare le logopedia, smartphone, bambino, societàcostruzioni, ma comunque tenerlo vivo chiamandolo al ragionamento, per esempio, apparecchiando la tavola insieme e chiedendogli i nomi degli oggetti, facendo la spesa insieme e interrogarlo sul posto corretto dei vari prodotti o quando si fa il bagnetto, insegnargli le parti del corpo o i nomi dei vestiti. Servono attività quotidiane di routine e il bimbo imparerà ad utilizzare i termini corretti nel contesto adeguato”. E i videogames? “Stesso discorso. Utili quando sono spunto per un’interazione esterna, anche se servono delle regole, niente libero acceso per tutta la durata della giornata”.

THIS IS A TRUE STORY  (O QUASI)

Ringrazio Federica, ringrazio Ginevra che è stata solo uno spunto per raccontarvi una storia che potesse insegnare qualcosa, ringrazio mio padre che la pipì quand’era piccolo l’ha bevuta davvero. E oggi parla, parla che è una meraviglia.