Il Sole24ore ha pubblicato un’inchiesta – report sulla disastrosa situazione occupazionale a Palermo. Fenomeno che contiene anche un altro e non secondario dato: i giovani vanno via. Su questo ultimo dato c’è stato il consueto siparietto di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e presidente regionale dell’ Anci (l’Associazione dei Comuni italiani). Da anni Orlando tenta di contrabbandare per scelta ciò che invece è uno stato di necessità, come se la partenza dei nostri figli fosse un affronto fatto a lui e non una spina nel cuore di tante famiglie.

PALERMO E’ CAMBIATA

Sia chiaro – e su questo ha ragione Orlando – le esperienze maturate nel resto d’Italia e all’estero arricchiscono e sono fondamentali patrimonio culturale non  connesso gioco forza alla ricerca di un lavoro. “Io spingo i giovani ad andarsene. E poi dico: Palermo è cambiata, potete tornare”. Posto che ciascuno di noi non può che essere felice che Palermo sia cambiata (bisogna soltanto stabilire in che misura), è mai possibile che si debba allestire questo gioco di finzione anche di fronte alla più grande piaga di questa terra?

SENZA LAVORO E SENZA SOGNI

Diciamolo, senza vergogna: la disoccupazione giovanile è peggio della mafia. E se la mafia e la mafietta, che dir si voglia, da est a ovest allignano ancora nelle periferie delle nostre città è anche e soprattutto perché non c’è l’indispensabile deterrente sociale che si chiama lavoro. E i cui sottotitoli sono nell’ordine dignità, speranza, sogni, futuro.

PERSI 12 MILA GIOVANI

Dice il Sole, nell’articolo di Nino Amadore, che nel giro di 7 anni se ne sono andati 12 mila giovani compresi tra i 18 e i 35 anni. Statistiche che, in genere, indicano per difetto la portata reale di una simile diaspora. Sono molti, per esempio, quelli che partono ma mantengono la residenza originaria, annacquando di fatto il fenomeno.

FARE I CONTI CON IL MERCATO

“Chi conosce un’altra lingua a Palermo trova lavoro. Garantito. Non so se da manager o da distributore di volantini al porto. Se è laureato non è detto che trovi lavoro”. Considerazione banale e insidiosa perché si presta a superficiali considerazioni. Prima fra tutte quella che studiare non serva. E, peraltro, finisce per sporcare quel poco di sensato che contiene una simile affermazione.  Traduzione: bisogna fare i conti con il mercato locale del lavoro se non vuoi emigrare e rispettarne le richieste. E soprattutto: le università non sono del tutto efficaci, se non addirittura inutili se vuoi trovare lavoro.

LA DIFESA DEL RETTORE

Poiché ciascuno guarda il proprio, arriva la difesa d’ufficio del rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari. “Noi non registriamo cali d’iscrizione, sono gli studenti di Trapani e Agrigento che spesso scelgono di andare altrove”. Ma quando si affronta il tema delle iscrizioni alle specialistiche, arriva una mezza ammissione, che però chiama in cause il livello politico. “I ragazzi scelgono di completare gli studi dove esistono aziende importanti”. Traduzione necessaria anche in questo caso: è il modello di società creato dalla politica ad avere generato l’handicap. L’offerta formativa inadeguata? Che mai sia…

LA PROPAGANDA ORLANDIANA

Restano i dati che inchiodano la fastidiosa propaganda orlandiana. Anche inopportuna, perché non può essere certamente del sindaco ogni livello di responsabilità di una situazione che investe soprattutto Stato e Regione e in subordine l’Ente Locale. Non viviamo nel paese della cuccagna e invitiamo chi ne abbia voglia a consultare il felpatissimo articolo del Sole24ore per fare un facile raffronto tra la realtà dei numeri e i tentativi di mistificazione.

UN PAESE PER VECCHI

Restano i fatti ed essi dicono che la recessione continua e che i giovani scappano. E che le nostre città si stanno trasformando in paesi per vecchi. Le responsabilità non sono certo individuali e hanno radici antiche. Ma la voglia di togliere la sicura alle boffe è grande perché la necessità è cosa assai diversa dalla libera scelta. E non è consentito a nessuno, sindaco o chicchessia, di scherzare con il futuro e i sentimenti di intere generazioni di siciliani.

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