Il magnete per il frigorifero che mi viene spesso regalato quando amici e parenti tornano da un viaggio non lo tollero proprio: la mia cucina è invasa da calamite che, finito lo spazio nelle pareti del frigo, ho dovuto accomodare sulla cappa, ai lati del microonde e sul copriserranda in metallo della finestra. Si spazia dalla capitale europea fino al fico d’india comprato ad Agrigento, ma non mancano anche brik di latte, scatolette simil-simmenthal, animali e frutti, come banane, pere, mele e kiwi. Un mercato inarrestabile, così come la fantasia di chi li crea, spesso, neanche a dirlo, made in china.

ALTRO CHE CALAMITE…

Nei primi del novecento, quando oriente e occidente erano davvero lontani, dai lunghi viaggi si portava altro. E il mondo era talmente grande e inesplorato per via delle enormi distanze e della banane valle dell'oretomancanza di mezzi di trasporto veloci, che non tutto si conosceva. Stefano Marcenò, bisnonno di Letizia, esportava agrumi siciliani in America. Stava per mesi interi lì e quando tornava non portava calamite ma, sulle navi che lo riportavano indietro dall’occidente, imbarcava piante ed alberi perlopiù sconosciuti in Italia. Vederlo tornare era una festa per i suoi familiari. Per i mesi che era stato lontano ma anche per i suoi souvenir vegetali, un’occasione per assaggiare frutti misteriosi mai assaggiati prima. Un giorno si presentò con due varietà di piante di banane davvero speciali: erano la musa paradisiaca e la musa capricciosa. I due banani, piantati nel terreno di famiglia, nella valle dell’Oreto, trovarono un ambiente ideale e per decenni furono ad esclusivo uso e consumo dei Marcenò.

AL MERCATO

banane valle dell'oreto
Letizia Marcenò

Fino a quando la bisnipote Letizia, negli anni 2000, pensò bene di portarne un casco al mercato. La loro forma, grossa, allungata, un po’ tozza e il colore giallo paglierino intenso, simile a quello di una pannocchia, incuriosì tutti. Da allora, Letizia dovette aumentare la produzione della sua azienda, La Valle dell’Oreto, rinunciando a qualche albero di agrumi pur di soddisfare la richiesta del mercato.

IL SEGRETO DELLE BANANE PALERMITANE

Come diceva Johnny Stecchino? Se vai a Palermo non toccare le banane? Si sbagliava. Le banane di Letizia sono davvero buone ed è un peccato non toccarle, ancor di più perché si è riusciti a coltivarle in un luogo con un clima a loro assolutamente ostile, visto che si tratta di piante tropicali. A spiegarci il segreto di questo prodigio è proprio Letizia: “Il miracolo lo fa la valle dell’Oreto. È grazie al corso d’acqua e al microclima idoneo che si forma, se riusciamo a portare a maturazione le banane.

SAPORE SPECIALE A PRODUZIONE LIMITATA

Si tratta però di un prodotto fuori serra – continua l’imprenditrice – Tra scirocco, gelate, vento, queste piante negli anni hanno subito diversi danni. E’ proprio per questo motivo che non riusciamo a produrre grandi quantità. Al momento facciamo soltanto vendita diretta nel nostro punto vendita e nei mercati di campagna amica di banane valle dell'oretocoldiretti”. Le banane prodotte nella Valle dell’Oreto hanno un gusto speciale e a chilometro zero: “La nostra non è un’azienda biologica – spiega l’imprenditrice – ma le banane non hanno bisogno di trattamenti particolari. Il cliente è abituato ai classici frutti che si trovano in commercio, tipo le Del Monte o le Chiquita, che vengono dall’altra parte del mondo e per arrivare fino a noi con le navi vengono trattati con prodotti antimuffa, che in Italia sono stati vietati negli anni ’80”. Sarà forse per questo che il sapore dei frutti palermitani è totalmente diverso da quello delle banane classiche: altamente dolce, leggermente speziato, maturo, raffinato; e all’olfatto odorano di frutta appena raccolta, ormai una rarità sulle nostre tavole.

LA VALLE DELL’ORETO

La valle dell’Oreto è però sempre più abbandonata. Lo sa bene Letizia Marcenò, una delle poche imprenditrici che operano nel settore agricolo che continua a coltivare lì anche nespole – di cui è la prima produttrice italiana – agrumi, ciliegie, mandorle, noci pecan importate anch’esse dal suo bisnonno, tra mille difficoltà e in uno stato di abbandono pressoché totale: “Siamo rimasti tra gli ultimi che coltivano questa zona – racconta rammaricata la donna – anche perché ci sono dei costi incredibili e se non saremo aiutati da chi ci amministra bisognerà continuare a fare tanti sacrifici, lavorando in modo intelligente e con mentalità imprenditoriale, altrimenti…”.

UN AIUTO AGLI AGRICOLTORI

Altrimenti, aggiungiamo noi, le strade sono due: chiudere bottega o aumentare i prezzi. Ma poi nessuno si lamenti se qualcuno ci chiederà “Ma quanto costano le banane a Palermo?” o se dovremo accontentarci di guardare la frutta di plastica appesa ai magneti di un frigorifero.

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