Raccontare l’esperienza di padre fa essere un pò come Forrest Gump, pensieri semplici al limite del banale. Noi i figli non ce li siamo portati dentro per 9 mesi e se da un lato ci possiamo risparmiare l’epica (e la retorica) di quei momenti, dall’altro ci manca proprio l’approccio viscerale con la creaturina. Siamo stati genitori di testa, almeno all’inizio, perché dalla sala parto in poi la musica cambia e saltano gli schemi che la natura ha imposto. E’ allora che comincia la festa del papà.

QUEL MAMMO DI MIO PADRE

Fare il padre per mio nonno, uomo del 1900, è stato molto più semplice, non dico facile, ma meno impegnativo di sicuro. Retaggio di quella impostazione matriarcale della famiglia in cui al maschio, bene che andava, toccava il ruolo del finto burbero. Ma le chiavi d’accesso ai sentimenti dei figli erano ben conservate nel grembiule della mamma. Già mio padre, uomo del 1930, all’alba degli anni ’60 visse qualche anno da mammo, supplente a tempo pieno in un sistema in cui gioco forza la minore esistenza di steccati disegnava nuove competenze.

L’ANALISI DEI TINELLI

Da quella generazione di padri per così dire new age siamo venuti fuori noi, genitori maschi che proviamo a mescolare tre caratteristiche apparentemente inconciliabili in un mestiere solo: il rigore censorio, l’accoglienza affettiva, la trasmissione ereditaria. Per carità, poi ci sono sempre quelli che se ne fottono, che tanto i figli crescono comunque. E mai presenti ad un vaccino o a un consiglio di classe oppure in piedi a fare il tifo silenzioso agli esami di terza media e di maturità. Una percentuale ancora superiore rispetto alle madri, ma sempre più in calo, se possiamo attingere all’analisi sociale dei nostri tinelli.

GIORNI BELLI E COMPLICATI

Poi ciascuno di noi ci mette del suo per definire i contorni della più straordinaria esperienza terrena. Senza tante celebrazioni, ma neanche senza falsa modestia io credo di avere fatto il padre. I casi della vita mi hanno regalato una massa di giorni complicati ma anche molto esaltanti. Non è andata malaccio. Ne ho avuto la consapevolezza quando qualche mese fa mia figlia, per la prima volta alle prese per qualche ora con un bambino (non suo), mi ha confessato la sua ammirazione: “Ma come hai fatto? E noi eravamo due…”.

UN RAPIMENTO CHE NON PREVEDE RISCATTO

Stupita perché a suo dire i bambini sequestrano la tua anima. Pensa che effetto che fa un figlio, mia cara. Un rapimento che non prevede riscatto, un pensiero che non ti molla mai. Questa casa non è un albergo, a che ora torni, mettiti la sciarpa che fa freddo: è il patrimonio comune. Ecco, vedete, entra in campo Forrest Gump. E via con le banalità. Ma è così. Non c’è modo di spiegare l’essere padre, l’originalità sta negli episodi, nei dettagli, nella capacità di declinare la vita di tutti i giorni secondo un flusso che poi diventa quasi come un codice genetico. Noi siamo padri perché ci sono i figli, vero Forrest?

NOI SIAMO PADRI SE…

Siamo padri solo se ai loro occhi rappresentiamo per sempre, giorno dopo giorno, quella mano che gli ha insegnato a non cadere quando imparavano a camminare. Siamo padri se accettano ancora il nostro dissenso e cercano ancora il nostro dire sì. Siamo padri se continuiamo a essere rigorosi, accoglienti, percettivi. Altrimenti finiremo per risultare semplici e banali riproduttori. Che è pure bello ma il piacere, al massimo sarà durato mezz’ora.

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