Finisco molto tardi a lavoro. Sono stanco, piove e fa un freddo cane. Raccolgo le mie cose, mi faccio accogliere dal mio cappotto morbido, mi alzo il bavero e vado per uscire. Sono sempre un po’ guardingo quando esco così tardi dal mio ufficio, non è una bella zona di sera, vicino alla stazione centrale e io ho con me pc aziendale, borsa, smartphone, effetti personali, ecc. 

L’UOMO NELLA PENOMBRA

Sto per aprire la porta sulla strada e noto qualcosa giù per terra. Ho un istintivo sussulto, poi guardo meglio nella penombra: un uomo seduto, appoggiato al muro esterno del palazzo, sotto una specie di portico in corrispondenza alla porta laterale da cui si esce quando è tardi e non c’è più nessuno.
Non pare certo minaccioso. In altre condizioni, non lo prenderesti mai per un clochard. Niente barba, pochi capelli bianchi, sulla sessantina. Potrebbe essere uno come tanti, uno come me che ha finito tardi al lavoro, un passante, un turista, uno chiunque.

PRIMA CHE VITA AVEVA?

Solo che io stanotte dormirò a casa sotto un piumone, lui ha una specie di giaciglio improvvisato con un telo, un piccolo zaino, è vestito a strati ma nessuno davvero pesante, lo guardo e sento freddo per lui. Ma quest’uomo, prima, che faceva? Che vita aveva? Mi guarda, ha uno sguardo remissivo, timoroso. Mi sembra uno che ogni volta chiede scusa al mondo di esistere. E infatti mi fa, in un italiano stentato con cadenza credo francese: “Scusi. Non vorrei disturbare. Posso dormire qui? Scusi” (due volte scusi).

TEME CHE LO CACCI

Provo una tenerezza infinita: teme che ora che l’ho visto io lo cacci via da lì. Cioè: non da un comodo divano fronte camino in uno chalet, ma da mezzo metro di marciapiedi, all’aperto, con l’unico parziale riparo di un piccolo portico a fargli prendere meno acqua. E però, tutto il vento e l’umidità che una sera di inverno anche la mite Sicilia sa regalare.

LE MIE FRASI IMBECILLI

Gli dico che non dà nessun disturbo, che può stare quanto vuole, farfuglio un paio di frasi imbecilli, del tipo “Ma non sentirà freddo”  e “Posso darle qualcosa? Magari domani ci fa colazione”.  Mi guarda, non risponde, forse non mi capisce. Prendo un po’ di soldi, glieli consegno. Mi ringrazia più volte e più lui mi ringrazia più io mi sento imbecille. Vado in macchina, accendo il motore e il riscaldamento, mi avvio verso casa e continuo a pensare a chi doveva essere quell’uomo, prima. Ha o ha avuto una famiglia, una donna, un figlio, una amante, aveva amici con cui un tempo giocava a calcio o a tennis, andava a teatro, a cinema? Un lavoro o dei colleghi con cui scherzare o con cui scazzarsi? Prima di quel giaciglio all’aperto su quali letti dormiva? Chi era?

RIPENSO ALLA VOCE DI BONO…

Ripenso alla vecchia canzone Do they know it’s Christmas, la Band Aid delle star inglesi nel 1984 per aiutare l’Africa. C’era un pezzo in cui la voce inimitabile di Bono cantava “tonight thanks God it’s them instead of you…” Stanotte grazie a Dio tocca a loro e non a te. Ripenso alla mia domanda “Ma non sentirà freddo?” e mi sento sempre più imbecille…

Playlist: Do they know it’s Christmas – Band aid