E’ uno degli eroi di un’epoca indimenticabile. Parli di Mauro Di Cicco e istintivamente torni ai giorni in cui le figurine Panini erano gli unici prolungamenti delle domeniche allo stadio. Impossibile considerarlo l’altra parte, ve lo dice un cronista che qualche vaffa dai giocatori lo rimediava. Perché anche allora suscettibili lo erano assai. Ma l’educazione di antico stampo e la concezione della vita gli impedivano qualsivoglia reazione scomposta, persino quando sarebbe stata più che giustificata.

STOPPER O BATTERISTA?

Di Cicco di mestiere faceva lo stopper e allora significava avere a che fare con l’attaccante avversario più pericoloso. Non era uno che faceva paura, sguardo da persona perbene, fisicamente normale specie se raffrontato con gli armadi a tre ante che giocano attualmente in difesa. Però aveva il tempo nel sangue, che se fosse stato musicista lo avremmo visto dietro alla batteria. Saltava da dio, rapido come pochi, l’anticipo era la sua arma di difesa. Mai un fallo di troppo, ma non pensiate che era disposto a subire le angherie dei numeri 9 che spesso te le davano ancora prima di prenderle.

A PALERMO PER CASO

Arrivò a Palermo per caso. Lo confessa senza pudore a distanza di 44 anni. “Mi vennero a prendere all’aeroporto – ricorda – ma alla prima domanda capii che non ero io che s’aspettavano. Mi chiesero: ma non eri biondo? Giuro che non lo sono mai stato. La prima, la seconda, la terza volta, un’insistenza imbarazzante. In macchina mi fu tutto chiaro. A Ferrara, con la Spal, giocavo in coppia con Gelli, che era biondo platino. Il Palermo probabilmente voleva acquistare lui e si ritrovò invece un ragazzino di 20 anni e bruno…”.

IL DEBUTTO IN ROSA

Nacque così un amore, ma di quelli veri, che neanche il tradimento ha potuto intaccare. Di Cicco debuttò in rosanero in un anno non proprio felice. Era un Palermo – uno dei tanti in quegli anni – che avrebbe dovuto spaccare il mondo. Tra le parole e i fatti c’era però il solito campo di 110×75 che si divertiva a mandare le carte all’aria. Nel 1976 in panchina sedeva Tonino De Bellis, reduce da un campionato strepitoso che non seppe neppure lontanamente replicare.

IL MATRIMONIO DOPO LA “PRIMA”

Il giorno dopo la prima partita, a Terni, Di Cicco sposò la sua fidanzatina. Liviana diventò sua moglie e capì subito qual era il suo ruolo. Mauro il martedì tornò ad allenarsi, per il viaggio di nozze o qualsiasi altro tipo di festeggiamento ci sarebbe stato tempo. Ma il Palermo barcollava e De Bellis tenne fuori quel ragazzo per le successive 8 partite preferendogli Vianello,  più esperto ma anche più usurato dal tempo.

L’AUTOGESTIONE

“Non ho mai capito perché dopo il debutto, peraltro positivo a detta di tutti, mi abbia tenuto fuori. Ma non ho detto una parola”. A Parlare furono – e in maniera esplicita- quelli della vecchia guardia. E De Bellis perse il posto. Altro capitolo straordinario della storia di Di Cicco  a Palermo fu la prima vera e propria autogestione attuata dopo quell’esonero.

VENERANDA GLI RIDA’ LA 5

Arrivò Nando Veneranda che però frequentava il supercorso di Coverciano. Allenava per telefono, il venerdì sera era a Palermo, giusto per la rifinitura. E la domenica in panchina.Di Cicco tornò in campo con il suo caro numero 5 e il Palermo si salvò proprio in dirittura d’arrivo.

LA SFIDA CON IOZZIA

Dovrebbe dire grazie a Veneranda, direte voi. Neanche per idea. Perché se da un lato il mister in estate fece piazza pulita di mezza squadra – Vianello in testa – dall’altro volle un altro stopper, suo fedelissimo. Da Marsala il numero 5 dei suoi sogni si chiamava Silvio Violante Iozzia. “Ho capito subito che era il suo prediletto, ma la concorrenza non mi ha mai spaventato. Mi piacevano le sfide, con gli avversari e anche con i compagni”.

“VAI E MARCA ANASTASI”

A proposito di sfide è giusto fare un passo indietro, al tempo della Spal. Campo di San Siro, Coppa Italia, debutto contro l’Inter. Scopre di dovere andare in campo alla lettura delle formazioni, nello spogliatoio, pochi minuti prima della partita. Il suo avversario era Anastasi, ex leggenda iuventina, l’uomo che regalò all’Italia l’Europeo del 1968.

A SAN SIRO CONTRO MAZZOLA

“Immaginatevi il sottoscritto che sino a pochi mesi prima giocava nei campi in terra battuta e che si trovava a San Siro, con tutta quella gente e campioni mai visti prima. Il primo tempo filò liscio liscio, Anastasi non fece granchè. Ma al ritorno in campo non riuscivo a vederlo, chiesi pure a miei compagni, m il numero 9 sembrava scomparso e non vedevo altri attaccanti in campo. Di fatto l’Inter aveva deciso di avanzare Sandro Mazzola e così alla prima da titolare avevo marcato due leggende del calcio italiano. Per la cronaca vincemmo 2-1″.

IL PALERMO DI CHIMENTI…

Torniamo a Palermo, a Veneranda e a Iozzia. Bastò il ritiro a Pievepelago per capire che non avrebbe perso il posto. Iozzia troppo acerbo e irruente, roba da cartellino rosso persino nelle amichevoli. Era un bel Palermo: Trapani, Vullo, Citterio, Brignani, Di Cicco, Brilli; Favalli, Borsellino, Chimenti, Majo, Magistrelli. Sarebbe bastato un pizzico di convinzione in più per accodarsi all’Ascoli di Mimmo Renna e andare in A.

…E QUELLO DI DE ROSA E MONTESANO

Piano piano, settimana dopo settimana, Palermo gli era entrata nel sangue. Ormai era palermitano, pur mantenendo una gentilezza dei modi che non è propria della genia autoctona. A Palermo comprò persino casa e successivamente aprì una palestra. Un solo e unico rimpianto, la serie A, tante, troppe volte solo sfiorata. L’anno giusto sembrava il primo di Renna. Indimenticabile la squadra dell’82, una tra le più amate di sempre dai palermitani. Piagnerelli, Volpecina, Pasciullo, Vailati, Di Cicco, Silipo; Gasperini, De Stefanis, De Rosa, Lopez, Montesano .

IL SOSPETTO

“Ad un certo punto pensavamo che ce l’avremmo fatta. Giocavamo bene, facevamo molti gol, forse ci è mancato un pò di cinismo, soprattutto in trasferta. La doppia sconfitta a Pisa e Varese mise la parola fine ad ogni sogno”. Molti pensarono che il crollo finale non fu del tutto casuale. Illazione che, ovviamente non poteva riguardare Di Cicco e molti che come lui avrebbero pagato di tasca propria per avere quella stramaledetta serie A.

LA SERIE A CON MUTTI

Che poi Di Cicco acchiappò in corsa, quando Zamparini licenziò prima Pioli e poi Manca e affidò a Mutti la sua fragile barchetta alla deriva. E Di Cicco di Mutti era il vice sul campo. Strana storia quella tra i 2 mister. Da calciatori giocarono contro 7 volte e Mutti fece 5 gol. “Non eravamo amici, buongorno e buonasera al massimo. E da avversario lo odiavo. Poi arrivò a Palermo e chiese che fossi io il suo secondo. Così al buio. Pensate, io vivevo a Palermo, allenavo la Primavera, non avevo alcuna intenzione di accettare”.

CHE DEBUTTO!

Non andò così. E Di Cicco si trovò in panchina accanto a Mutti nel giorno del debutto alla Favorita. “Giocavamo contro la Lazio, confesso che c’era qualche timore. Prima della partita andai da Miccoli e gli dissi: Siamo appena arrivati, qua se perdiamo magari ci mandano via. Mi raccomando… Ci pensò lui, una partita perfetta da parte di tutti. Ci rilassammo solo sul 5-0…” Zamparini dichiarò: ho trovato il mio Mourinho. “Vero. E la settimana successiva ci voleva licenziare”.

LASCIAMMO LA SERIE A

Eppure nonostante l’inizio i rischi non furono pochi. Il Palermo si salvò alla penultima giornata, un anno balordo anche se la squadra non era malaccio. Ma dopo la finale di Coppa Italia qualcosa si era sfilacciata. “E poi tanti infortuni, Miccoli non era al meglio, Budan spesso infortunato, Ilicic fiaccato nelle gambe e nella testa. Comunque lasciammo il Palermo in serie A”.

IL CAPOLAVORO DI MESSINA

Accanto a Mutti ha vissuto la sua seconda vita da vice, dopo aver vinto campionati nelle serie minori. Ultimo a Mazara del Vallo. Il capolavoro a Messina, un settimo posto che li avrebbe portati in Europa senza i problemi d’impiantistica che gli negarono l’esperienza continentale. “Tutti pensavano che saremmo retrocessi, invece avvenne un miracolo. Ogni giocatore rese al massimo, Da Storari a Di Napoli, passando per Parisi, Coppola, Zampagna, Giampà”. Una squadra che avrebbe pure avuto un futuro, ma in società c’era già puzza di smobilitazione. E nel giro di pochi mesi dall’Europa si passò al fallimento. Una storia tutta siciliana, come tante altre. Purtroppo.

IL PRESENTE

Oggi è lo stesso saggio ragazzo di quando arrivò a Palermo. La donna al suo fianco è sempre Liviana. A Palermo nacque Francesca, l’unica figlia che a 42 anni è ha deciso di trasferirsi col marito a Cambridge. Il calcio è ancora più di hobby, ma non più un assillo. “Avrei potuto accettare solo di lavorare per il Palermo, con i giovani. E Rosario Argento mi ha anche chiamato. Ma ogni cosa deve essere fatto al momento opportuno. E oggi sarei stato un peso eccessivo per il Palermo”.

L’ARMA DI SEDUZIONE LETALE

Persona perbene, anche troppo per questi tempi e per questo ambiente. Il finale è uguale a quello di 4 decenni fa, quando un cronista ragazzino lo salutava quasi imbarazzato per averlo disturbato ad ora di pranzo. E si sentiva rispondere: “Quando hai bisogno, io sono qui”. Credo non mi abbia mai dato un titolo da prima pagina, ma mi ha aiutato a comprendere che anche in un ‘ambientino in cui non sono mai mancati bulli e pupe, ricchi premi e cotillons, la correttezza può essere un’arma di seduzione letale.

Playlist: Io vagabondo – I nomadi