Alcuni lo chiamano Giorgio, altri lo chiamano Filippo, ma tutti sono d’accordo sul cognome che è D’Amato. Questione ancor più spinosa è la professione: ho chiesto di lui in libreria e mi hanno detto: “Certo, Giorgio, lo scrittore dei libri di mafia”. Parlo con quello del bar di corso Vittorio Emanuele e mi porta fuori strada descrivendolo come Filippo, quello degli acquerelli. Ma insomma chi diavolo è Giorgio Filippo D’Amato che scrive libri e dipinge acquerelli?

CHI DIAVOLO E’ GIORGIO FILIPPO?

“Tu edulcori – mi dice, quando lo incontro – io sono quello che ecca vuci a u cassaru”. Traduco (edulcorando in effetti), Filippo Giorgio è un esperto di lettura espressiva. L’ho conosciuto così, lui scrive e legge alle persone storie. Qualcuno si ferma per forza e se ne innamora. E non perché sia un bell’uomo, ma perché è Giorgio D'Amatocarismatico ed è parte di quella Palermo vecchia e nuova, trasandata e geniale. Come i supereroi fino a qualche tempo fa aveva una doppia vita: faceva lo scrittore di notte e il contabile per un’azienda di giorno. Niente libri, niente dipinti, solo numeri.

LA DOPPIA VITA

Poi qualcosa è cambiato: “Quattro anni fa, mentre disegnavo vicino piazza Ballarò, un panellaro mi disse: cuci’, mu fa un quatro con la friggitoria? – racconta – In cambio mi diede una birra e cinque euro. Ho preso la birra, ringraziato e restituito i soldi e sono tornato a casa con un tarlo”. Dopo anni con la divisa da scrittore di libri di mafia (L’estate che sparavano, per esempio, oppure Cernia tossica, entrambi editi da Mesogea) sotto quella da contabile, Giorgio Filippo o Filippo Giorgio è di nuovo vivo. Si procura un banchetto e un seggiolino e si posiziona a piazza Marina e lì capisce che “gli acquerelli con gli scurmi piacciono di più di quelli con le trigghie”.

L’ARTE DI PITTARE

Tre anni di esperimenti, poi verso i cinquanta con moglie e figli, la decisione folle: Giorgio Filippo lascia il lavoro a tempo indeterminato e la sua giornata tipo cambia: “Se la dedico alla produzione allora tavolo, colori e tv accesa su tutto il trash di Rai uno: la vuoi riassunta la fiction Il paradiso delle signore? – ride – Se la giornata è dedicata alle vendite allora mi sveglio, mi carico zaini e tavolini e poi mi piazzo nel corso. Lì mi passa a babbiare sia in palermitano che in inglese, vendere, dipingere sia da solo che con tutte quelle persone che vogliono cimentarsi. Ci dormirei in corso Vittorio”.

DAI PESCI A RUSULE’

Ma come fa Filippo Giorgio? “Sia la pittura che la scrittura necessitano di sguardo e tecniche espositive. I miei acquerelli spesso sviluppano delle storie. Stare per strada mi ha indirizzato verso la narrazione orale – spiega – Cuntare è gratificante. C’è gente che si ferma al mio banchetto solo per chiedere di aver cuntato di rusule’ e del miracolo della cassata accattata”. Perché Giorgio Filippo dipinge di tutto, ma è famoso per i suoi pesci e per le sue rusulè dissacranti e spriggiusi che “immerse nella quotidianità, sollecitate da alcuni tonni, fanno miracoli attipo panelle cavure, ficurinnia munnati – si ferma e me ne fa vedere una, raccontandomela – qui cuciva abiti folk per i tonni che volevano sfilare pure loro per Dolce & Gabbana. Fissarie che mi divertono” e che la gente compra. C’è la fila da Filippo Giorgio D’Amato.

ACQUERELLI CONNECTION

La sua clientela non è catalogabile, tanta, troppa: “Ai palermitani piacciono mori e paladini, agli spagnoli sarde e tonni, ai tedeschi polpi blu e sgombri, ai giapponesi i monumenti. E poi Moby Dick – si eccita Giorgio Filippo – mi piace partire da citazioni del suo romanzo e dipingere, leggere il romanzo per cercare una frase adatta a un acquerello”. Al D’Amato vogliono bene tutti e lo salutano quando passa con la sua Vespa (chi è più vecchio di chi?) e sono “saluti e vasate. Tanti negozianti espongono i miei acquerelli nelle loro vetrine e con gli altri artigiani ci diamo dritte, ci aiutiamo quando non abbiamo l’autorizzazione a D'Amato che dipinge e abbannìa in corso Vittorio Emanuele 2occupare il suolo pubblico”.

LE ACCIUGHE PITTATE

Ama Palermo, soprattutto dopo la pedonalizzazione e non la vuole lasciare più e quando gli chiedo se la città e i palermitani sono acquerellabili, mi risponde: “Il mio ex capo lavora le acciughe. Quando ha da mandare un campione, questa è la sua indicazione: prendi le acciughe migliori, devono sembrare pittate – attimo di suspense – Ebbene, Palermo è già pittata di suo, e non c’è un palermitano che non sia un quadro ambulante!”.

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