Negli anni ’70 Giuseppe Maria Li Causi aveva sette anni. Spesso e volentieri non andava a scuola e quando rimaneva a casa nel periodo d’oro della Fiera del Mediterraneo, accendeva la televisione e aspettava che fossero le dieci per vedere il film di Franco e Ciccio che la Rai mandava in onda in esclusiva per il pubblico siciliano. Mentre i suoi amici calciavano i palloni per strada, lui montava e smontava bobine super 8 con titoli che lo esaltavano come I due della legione o Don Franco e don Ciccio nell’anno della contestazione.

LA MISSIONE DELLA MEMORIA

Non ci poteva fare niente. C’era chi aveva scoperto l’America, chi il cannocchiale, chi difendeva i diritti delle donne e degli studenti e poi c’era lui che aveva un sogno: essere sempre nella prima fila di qualsiasi platea davanti a uno schermo o un palco a urlare il nome di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; possedere tutti i loro film (che sono 116 più quelli realizzati da “solisti” e gli spettacoli, le apparizioni in trasmissioni televisive), catalogarli, dedicargli una piazza alla loro morte, un museo nel cuore di Ballarò, essere insomma lo storico di riferimento sull’argomento: «Li porto nel cuore e gli ho dedicato la mia vita perché erano puliti e mai volgari, perfino in sacrestia proiettavano i loro film».

NON FUMO, NON BEVO E NON VADO A DONNE, HO UN SOLO VIZIO

E oggi che Giuseppe Maria (perché nato l’8 settembre 1965) Li Causi di anni ne ha cinquantaquattro e lavora alla reception di un padiglione del Policlinico di Palermo, può dirsi realizzato. Chi lo conosce lo sa, lo incontri e parte con il raccontarti la sua vita, una vita dedicata al duo siciliano che ha fatto la storia della tv. Non ci guadagna niente Giuseppe: «Non fumo, non bevo, non vado a donne – dice – non ho altri vizi, mi rimangono solo loro e la mia famiglia lo sa, non faccio nulla di male, ma se mi chiamano per raccontarli io parto immediatamente».

IL TRAUMA DELLA SEPARAZIONE

Quando i due si sono separati temporaneamente, lo sapeva che «erano cose passeggere, incomprensioni di copioni e sciocchezze, ma ci è stato male lo stesso e si è detto: “vuoi vedere che finisce tutto?”». È un DNA simpatico il suo, uno di quelli che si lega empaticamente con l’oggetto dell’arte amato. Chissà se si ricorda del primo bacio da adolescente, ma del primo frame dei film di Franco e Ciccio certamente sì: «Lì ho visti in onda vestiti da cowboy, forse era Due mafiosi nel far west». È difficile identificare il giro di boa della propria vita, ma Giuseppe il suo lo conosce bene: «La prima foto nel 1981, a 16 anni, con Franco che si era girato verso Ciccio dicendogli che sarebbe andata a schifio se non si fossero fatti una foto» con quel picciotto, che si vedeva era diverso dagli altri.

COME PARENTI

Non un semplice collezionista (anche se i film fra vhs, super 8 e dvd li ha quasi tutti, tranne Balli e pupi che cerca disperatamente in versione originale), non un semplice storico (nonostante giri teatri, cinema, carceri, convegni e feste di piazza per tramandare la sua conoscenza), piuttosto un familiare: «Stefania (sorella di Franco Franchi ndr.) mi ha commosso quando in diretta, alla Prova del Cuoco, ha detto che sono come un nipote, sempre con lei – dice Giuseppe – e anche Massimo (figlio di Franco Franchi ndr.) durante la presentazione del suo libro (Sotto le stelle di Roma, Spazio Cultura edizioni) mi ha definito come chi ha portato avanti il nome della famiglia».

Lì DOVE TUTTO E COMINCIATO

Quel nome è impresso in una piazza alle spalle del Teatro Biondo, oggi piazzetta Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Lì dove tutto è cominciato, dove Ciccio notò Franco esibirsi per strada e dove Modugno li lanciò nello spettacolo con il record di repliche tutt’ora imbattuto: Rinaldo in campo. E sarà impresso anche nella facciata del nuovo museo che sorgerà a Palazzo Tarallo, nel cuore di Ballarò. C’è riuscito Giuseppe dopo anni di strategie, conversazioni, pizzicotti alla politica sorda, perché i due lo meritavano.

IL PELLEGRINAGGIO AL BAR

E se nel Medioevo nasceva il pellegrinaggio devozionale verso Gerusalemme, Santiago de Compostela o Roma stessa, oggi Giuseppe lo fa spesso andando a Piazza Cantù, nella Capitale, dove «Franco Franchi aveva un bar, stava alla cassa e da lì passavano tutti i palermitani dello spettacolo». E Giuseppe ogni tanto ci va a trovare lo zio e il caffè gli viene offerto.

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