Questa è la storia di Angelo Bellavia, di professione portiere di calcio, nativo di Asmara ma di fatto adottato da Agrigento. Oggi avrebbe compiuto 69 anni se il 17 gennaio del 1991 non avesse scelto di lasciare i turbamenti che la vita terrena gli aveva proposto dopo anni di effimera gloria.

IL DEBUTTO IN SERIE A

Bellavia con il Palermo giocò anche in serie A, 4 sole volte su 34 presenze con quella maglia rigorosamente nera, secondo le regole dell’epoca, che spiccava ancora di più in contrasto con il rosa rigato delle splendida mise di fine anni ‘60. Ma quelle 4 volte se le portò appresso per tutta la carriera, peso eccessivo di un’aspettativa forse un po’ esagerata. Nell’estate del 1970, con il Palermo che di fatto era una colonia della Juve, i giornali parlarono di un suo trasferimento a Torino. L’affare non si fece mai, ma l’equilibrio già fragile del giovane e audacissimo portiere ne risentì con certezza.

LA DIVERSITA’ DEI PORTIERI

Il calcio propone tantissime banalità, nel linguaggio e nella narrazione. Ma nascoste tra esse ci sono anche alcune verità assolute che non temono smentite. La numero 1 riguarda proprio i numeri 1. Diciamolo, i portieri sono diversi, già non dovrebbero chiamarsi calciatori visto che prevalentemente è chiesto loro di usare le mani piuttosto che i piedi e che il calciare solo di recente rappresenta quel bagaglio tecnico che potremmo definire valore aggiunto. Ma i portieri sono diversi perché isolati a lungo dall’epica del gioco hanno il tempo e la possibilità di tenere impegnata la mente in altri esercizi che esulano dalla trance agonistica degli altri 20 giocatori in campo.

LA SOLITUDINE DEI NUMERI UNO

Pochi giorni fa, Alessandro Cattelan, nella sua trasmissione EPCC, chiese a Gigi Buffon cosa pensasse durante le partite visto che dalle sue parti gli avversari arrivavano raramente. Domanda non banale, perché, per stessa ammissione del campione del mondo, i pensieri talvolta portano lontano. E quindi fate 2 più due. Per stare in porta bisogna avere una mente allenata alla solitudine, ad essere sempre al centro dell’attenzione, a sopportare il peso delle accuse di una platea che non tollera l’errore fatale. Perché quello del portiere è errore visibile e che fa danno, paragonabile soltanto ad un rigore sbagliato.

UNO CONTRO TUTTI

L’errore di Brignoli contro il Brescia, come quello di Coronado l’anno scorso contro il Cesena, ma il talento brasiliano non fu messo in croce come il numero 1, nonostante quello era un rigore che mai si doveva sbagliato. Bellavia di errori così clamorosi a Palermo non ha avuto il tempo di farne, ma la sua lucida follia, proprio quella del numero 1, ha avuto modo di esprimersi in altre svariate circostanze. Tanto per ricordarne una. A San Benedetto del Tronto, sul finire della partita, stadio con le curve attaccate alle porte, sfidò tutta la tifoseria avversaria che non gli aveva fatto mancare sputi e apprezzamenti alla dinastia materna saltando come una scimmia sulla rete di recinzione e invitando, uno per uno, gli improvvidi trontini al più rusticano dei duelli. Uno contro tutti.

ANGELO BELL’ANGELO

Il nostro number one aveva una forza bestiale e l’incoscienza della gioventù ne decuplicava gli effetti. Fascinoso come un personaggio di Vitaliano Brancati, Angelo bell’angelo ammaliava il cuore delle fanciulle come un giovine di quegli anni in cui persino in Italia si cominciava a professare una certa liberalità di costumi. In Sicilia ci si andava piano, ma non pensiate che anche allora i calciatori non fossero uomini in vetrina, ambiti e ricercati. E quando nel 1976 chiuse il suo ciclo a Palermo, Bellavia si portò dietro, nel suo girovagare per le province siciliane, quella fama di superman, dentro e fuori del campo.

 

IL MATRIMONIO

Sposò a Favara la figlia dell’onorevole Giacinto Lentini, deputato socialista, presidente dell’Esa e motore pulsante del calcio dilettantistico e della locale squadra di calcio. Tuttavia non fu il matrimonio a metterlo al riparo dai pettegolezzi e dai suoi fantasmi. Soprattutto i primi lo inseguirono implacabili e quando le pagine sportive non ospitarono più le sue gesta, ci pensarono altre sezioni dei giornali a tenere il suo nome tristemente in auge. In provincia, si sa, verità e leggende spesso si sovrappongono. Oggi a distanza di anni prevalga il perdono e la carità cristiana.

L’AUTOGOL DEFINITIVO

Il primo tentativo di suicidio fu dell’agosto del 1989, quando il muro di Berlino cominciava già a scricchiolare come la sua voglia di vivere. Due anni dopo l’autogol fu definitivo. Se ne andò insalutato ospite, in molti, anzi in troppi, fecero finta di non averlo mai conosciuto. Io conservo ancora il suo autografo, non ebbi il coraggio di chiederglielo ma ci pensò Giovanni Ferretti, la sua chioccia che, si dice, simulò un infortunio, per farlo esordire in serie A contro il Cagliari scudettato di Gigi Riva. “Attento che ti stritola” mi mise in guardia Ferretti, spettatore di quell’abbraccio che accompagnò la firma sul quaderno. Ecco, io l’immagine dell’abbraccio di Bellavia e il suo sorriso guascone, l’ho messo in cornice. E conservato come un quadretto naif nel museo della mia memoria.